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Eataly apre a Mosca. E aggira l’embargo: formaggi prodotti in loco e mille posti a sedere

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Ancora qualche giorno, poi l’inaugurazione rinviata più volte coronerà un traguardo importante per il gruppo, soprattutto per le difficoltà incontrate negli ultimi tre anni, a seguito dell’embargo. Uno spazio grande, 7500 metri quadri, in posizione strategica, per conquistare Mosca con il cibo italiano, senza snaturare le abitudini alimentari locali. 

Anni di rinvii, e poi l’ultimo slittamento, di un mese sulla data di apertura prevista, per ritardi interni all’organizzazione del centro commerciale che ospiterà il più capiente Eataly mai concepito, dieci anni dopo l’esordio torinese. A Mosca. L’ennesima apertura del team Oscar Farinetti-Andrea Guerra all’estero non fa che confermare il valore del brand su scala internazionale, ma ancor di più, nel caso specifico, testimonia la capacità di adattarsi alle contingenze locali, e questa è probabilmente la dote più lungimirante del massiccio progetto d’espansione pianificato negli ultimi anni, che in futuro porterà anche a Londra, in Canada, e persino in una roccaforte del campanilismo gastronomico come Parigi. Ma tra pochi giorni c’è Mosca, che è un traguardo importante in virtù delle restrizioni ancora in vigore per l’embargo imposto dal Cremlino a molti prodotti in arrivo dall’estero, comprese tante eccellenze gastronomiche made in Italy, che da tre anni a questa parte ha decisamente scombinato i rapporti commerciali legati all’approvvigionamento di specialità alimentari.

Aggirare l’embargo. La cella di stagionatura

Come aggirare l’ostacolo? Juri Tetra, partner russo dell’operazione che presto porterà all’inaugurazione di 7500 metri quadri all’interno del nuovo centro commerciale Kievskiy (non lontano dal centro della capitale russa), aveva già annunciato qualche mese fa la possibilità di avvalersi tanto della produzione in loco – sistema già collaudato in molti punti vendita del gruppo – che di produzioni certificate locali, incentivate a perseguire alti standard qualitativi proprio a seguito dell’embargo. Ora l’anteprima più dettagliata arriva dalle pagine di Repubblica, che per prima entra nel nuovo spazio su tre piani che ospiterà, come di consueto, mercato a scaffale, ristoranti e corner dedicati alle “botteghe” artigiane (la pasta, il pane, la pizza, la birra), facendo pure segnare il record per numero di coperti (954): più delle sedute disponibili nel grande store di Roma Ostiense. E ci si aspetta un’affluenza ingente, anche per la curiosità di scoprire gli assi nella manica sfoderati da Farinetti e soci. Chi varcherà la soglia di Eataly Mosca troverà mozzarelle, burrata, caciotte e formaggi a breve stagionatura prodotti in loco, con latte russo, da un casaro italiano: l’embargo colpisce duramente il comparto, mettendo fuori legge formaggi e salumi (tra le 50 categorie di prodotti d’importazione inibiti), e allora ecco venire in soccorso una cella di stagionatura a vista, che sarà ulteriore elemento d’attrattiva, accanto alle vasche di lavorazione della mozzarella. I formaggi a lunga stagionatura, invece, saranno importati da altri Paesi, come la Svizzera, non sottoposti a embargo. O meglio ricercati sul territorio nazionale, dove oggi si moltiplicano le aziende casearie di qualità.

Made in Italy e specialità locali

Anche perché l’intenzione è proprio quella di coniugare l’eccellenza tricolore (molti sono i partner di sempre, da Venchi a Lait per il gelato, da Lavazza a Vergnano, ai fratelli Maioli per le piadine, non solo a base di strutto, ma anche nella ricetta alternativa con olio d’oliva per i clienti musulmani) con una selezione di materie prime e specialità russe, per promuovere non solo il made in Italy, ma il cibo di alta qualità tout court, dal caviale venduto in pescheria agli infusi molto apprezzati dal costume nazionale. Tra pochi giorni, entro l’inizio di maggio, sapremo se Mosca risponderà con entusiasmo all’operazione, e il bilancio dei primi mesi sarà decisivo per orientare la strategia futura, senza escludere nuove aperture in città e sul territorio nazionale.

 

Eataly Mosca | Mosca | Kievskiy | www.facebook.com/eatalymoscow/

 

a cura di Livia Montagnoli

 


Piccoli produttori e aziende di nicchia: ecco le migliori passate di pomodoro

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Seconda tappa della prova d'assaggio di passata di pomodoro. È il momento di quelle realizzate da piccole e medie aziende, presenti in alte gastronomie, botteghe gourmet, enoteche con specialità gastronomiche.

Continua il nostro assaggio di passate di pomodoro, uno dei prodotti simbolo del made in Italy agroalimentare, in questo secondo turno, dopo aver già preso in esame i grandi marchi della Gdo ci siamo dedicati ai prodotti artigianali. I risultati sono stati sorprendenti e ci hanno regalato un anticipo d'estate.

 

Abbiamo assaggiato decine di passate di pomodoro. Un test alla cieca con prodotti coperti e numerati, sottoposti a un duplice assaggio: crudi e cotti velocemente in tegame, tre minuti senza sale e olio.

Oggi assaggiamo le passate di pomodoro reperibili nel segmento di nicchia, ovvero botteghe di cose buone, alta gastronomia, enoteche con settore dedicato alle specialità alimentari. In genere più fluide di quelle del comparto più industriale, di colore rosso vivace, e hanno caratteristiche di artigianalità: un'acidità naturale, una rustica dolcezza vegetale, aromi freschi e giovanili di pomodoro. Si avvicinano alla passata che una volta si faceva a casa alla fine dell'estate. Prodotti vibranti che esprimono pulizia, vivacità e freschezza, e seguono la generosità o i capricci della stagione: quindi non sono sempre uguali. È in questo ambito che troviamo passate di filiera, con controllo dal campo alla trasformazione, e un numero maggiore di prodotti biologici. Abbiamo provato solo le passate di pomodori cosiddetti convenzionali, rigorosamente rossi, sia lunghi a lampadina che rotondi, e abbiamo riportato i prodotti che si sono classificati ai primi posti. Delle passate fatte con pomodori di varietà particolari, di antiche varietà, autoctoni e territoriali, ci occuperemo in un'altra classifica, mentre dei prodotti presenti nella Gdo abbiamo già parlato.

 

La degustazione

Prima tappa del nostro test sulle passate di pomodoro: all'assaggio i prodotti artigianali, di piccole o medie aziende, presenti nei negozi di specialità di nicchia.

 

I prezzi indicati sono quelli medi al dettaglio

Tranne la prima classificata, le aziende sono in ordine alfabetico

 

primo pari merito

1° ex aequo - Oscar qualità/prezzo

Inserbo BIO 

La mission di Inserbo è la produzione di conserve di pomodoro caserecce e autentiche fatte dal fresco e a poche ore dalla raccolta con le varietà campane e con un occhio di riguardo per il biologico. La passata bio Selezione Manfuso, da pomodori (non di cultivar regionali) coltivati in biologico nella Piana del Sele, lavorati freschi in giornata e a mano con breve cotturaa bagnomaria, è dolce, sontuosa, corposa e compatta. Perfetta e già pronta così, cruda: non ha bisogno di nulla. Odori freschi e fragranti, appena un sentore di cotto. Una bella acidità naturale e una nota di umami accanto alla dolcezza, che aumenta molto dopo la cottura.

680 g prezzo 1,45-2,05 euro

Inserbo BIO | Angri (SA) | trav. Taverna Vecchia 2, s.s 18 area PIP | tel. 081 19257537 | www.inserbo.it

 

1° ex aequo

Orominerva - ND Oil & Food

Un risultato sorprendente per questa giovane azienda molisana nata nel 2011. Sicuramente per “ND”, Nico e Domenico, i soci di Orominerva. Pomodori coltivati nei propri terreni e da agricoltori di fiducia, tra Molise e Puglia, controllo di tutte le fasi di coltivazione, maturazione e raccolta, lavorazione dal fresco con i pomodori scottati in acqua prima di essere passati, pastorizzazione classica a bagnomaria e conoscenza della materia (Nico è tecnologo alimentare). Appena granulosa, compatta e omogenea rosso fiammante, ha il coraggio di essere quella che è: una passata delicata e classicissima, dal gusto pieno, rotondo ed equilibrato e dagli aromi di grande freschezza. Una buona base per qualsiasi piatto.

700 g prezzo 2,30-2,50 euro

Orominerva - ND Oil & Food | Cerro al Volturno (IS) | loc. Valloni | tel. 0865 1946290 - 347 8742977 | www.orominerva.it

 

{gallery}pomodoroartigianale{/gallery}

Le altre selezionate

Agricola Paglione BIO

Beniamino Faccilongo produce diverse passate di pomodoro bio e di filiera, fatte con pomodori freschi coltivati e trasformati nella propria azienda in agro di Lucera, tra il Tavoliere e l’Appenino Dauno, raccolti a mano, lavorati entro le 24 ore e sottoposti a cottura soft. L’assaggio della passata “rustica”, da pomodori tondi, conferma la buona lavorazione, il rispetto della materia prima, la freschezza dell’ortaggio. Colore rosso aragosta, non troppo densa, ha un buon profumo di pomodoro fresco, una dolcezza pacata, un’acidità giusta, una consistenza tenera, fluida e pulita, aromi delicati e materni, sensazioni che vengono esaltate dalla cottura. Da pasta pomodoro e basilico.

700 g prezzo 5,10 - 6,50 euro

Agricola Paglione BIO | Lucera (FG) | s.da prov.le 116, km 9,800 (c.da Perazzelle s.da per San Giusto) | tel. 366 9907771 | agricolapaglione@genie.it

 

Antonella

L'etichetta è già un manifesto di questa passata figlia di una delle nostre isole maggiori. Le scritte “La Sardegna nel cuore” e “Sardinia” ne indicano orgogliosamente la provenienza, sia dei pomodori che della trasformazione, effettuata da Casar di Serramanna, azienda a 20 minuti da Cagliari specializzata nelle conserve di pomodoro, fondata nei primi anni Sessanta eacquistata nel 1999 da Giovanni Muscas, presidente del Gruppo Isa di Villacidro, con tecnologia all'avanguardia ma con la cernita manuale della materia prima. Due i marchi aziendali, Casar e Antonella, quest'ultimo presente nel circuito Eataly. I pomodori sono100% sardi, del tipo allungato e di filiera certificata, coltivati nell’Oristanese e nel Medio Campidano con metodi che tendono a ridurre l’uso di sostanze chimiche, lavorati freschi nell’arco di 12 ore dalla raccolta, medianteevaporazione di una parte dell’acqua di vegetazione in impianto di concentrazione sottovuoto. Senza sale aggiunto: solo pomodoro, nient'altro. La passata Antonella all'occhio è da manuale: compatta, omogenea e densa, di tonalità rosso intenso, senza un filo di sostanza acquosa. Al naso e in bocca è il classico prodotto industriale ben fatto, con i sentori caratteristici della conserva di pomodoro, il dolce che abbraccia l'acido, e un leggero sentore di cotto che tende a coprire la freschezza dell'ortaggio. Migliora con la cottura.

680 g prezzo1,30 euro

Antonella | Serramanna (VS) | s.s. 196 d, km 7.155 | tel. 070 91341 - 070 91341300 | www.casar1962.com

 

Borgo La Rocca BIO

Filiera, coltivazione in campo aperto, rispetto dei naturali tempi di maturazione, raccolta a mano, selezione in campo e in laboratorio, trasformazione maison dal fresco, cottura in acqua, pastorizzazione a bagnomaria, certificazione bio per una passata con sale e basilico caratteristica, fresca e genuina, ben lavorata nell'azienda di Nicola Mercurio. Consistenza fluida con tracce di semi e bucce, una bella dolcezza in armonia con l'acidità, aromi puliti e coerenti, che si aprono e si valorizzano dopo la la cottura. E con il basilico non invadente. Una buona base per qualsiasi ricetta.

720 g prezzo 2,70-3,50 euro euro

Borgo La Rocca BIO | San Nicola Manfredi (BN) | fraz. Monterocchetta via Elena, 12 | tel. 082 440770 | www.borgolarocca.it

 

Ciro Flagella

Una buona passata di pomodoro fatta con sapienza quella di Ciro Flagella, ottenuta da pomodoro italiano fresco lavorato a mano, con aggiunta di sale. Appaga l’occhio con la sua perfetta, quasi sensuale consistenza fluida compatta e omogenea, pulitissima, senza tracce di semi e bucce, che mantiene la sua natura anche dopo cotta. Pochi i profumi, di contro un buon sapore, delicato, non esuberante ma armonico, preciso e pulito, e con i giusti richiami al pomodoro fresco.

700 g prezzo 4 euro

Ciro Flagella | Castel di Sangro (AQ) | Piana Santa Liberata s.s.17, | km 149,620 | tel. 0864 840351- 348 3819082

 

{gallery}pomodoroartigianale1{/gallery}

 

Oscar Qualità/Prezzo

Ecor BIO 

La passata “base” Ecor (c'è anche quella a marchio congiunto Ecor-Fattoria di Vaira, di pomodorino ciliegino), prodotta da Coppola di Scafati (SA) con pomodori italiani biologici, raccolti, lavorati e confezionati entro le 24 ore, è molto densa, fine e compatta, di aspetto lucente: velluto fluido rosso fuoco. Un prodotto da manuale, come vuole il consumatore medio, praticamente una salsa pronta. Non esuberante al naso e in bocca, ha un'acidità alta, una dolcezza contenuta e una freschezza non stratosferica, ma nel complesso è caratteristica, pulita, ben fatta: si percepisce il pomodoro lavorato con rispetto.

700 g prezzo 1,35 euro

Ecor BIO | Verona | via L. De Besi, 20c | tel. 045 8918611| www.ecor.it

 

F.lli Andolfo - La Primavera
Con il marchio La Primavera l'azienda F.lli Andolfo, nata nell'immediato dopoguerra e oggi nel nucleo industriale di Napoli, confeziona un ampio ventaglio di conserve per la pummarola. La passata, realizzata con il pomodoro convenzionale tondo e aggiunta di sale (c'è anche la versione di San Marzano), è il classico prodotto industriale, nella norma in tutti i suoi aspetti. All'occhio è la classica purea corposa, fine, fluida e lucente come se l'aspetta il consumatore medio. Al naso e in bocca si avvertono un'acidità alta e il caratteristico sentore di cotto, spesso presente nelle passate “lavorate”.

680 g prezzo non pervenuto

F.lli Andolfo - La Primavera | Napoli | via Luigi Volpicella, 62a | tel. 081 7527481 | www.conservelaprimavera.it

 

La Collina BIO

Un prodotto buono tre volte – per il piacere del palato, l'ambiente e il valore sociale – quello della cooperativa agricola La Collina, nella zona vocata al parmigiano reggiano. Fondata nel 1975 da padre Renzo Braglia, è oggi una grande famiglia allargata che oltre all'attività rurale si occupa del recupero di ragazzi con problemi di dipendenza patologica. I pomodori, così come gli altri prodotti aziendali (cereali, legumi, ortaggi, frutta, uva da vino), sono coltivati in azienda con il metodo biologico/biodinamico. La passata è ottenuta dalla varietà Barone Rosso (Tomato Colors), con aggiunta solo di sale marino. La raccolta, tardiva, e lavorazione avvengono in giornata per preservare la freschezza e le caratteristiche del pomodoro, con lavaggio e cernita manuali, pastorizzazione a bagnomaria. La versi e dal barattolo esce una bella passatona rossa e piuttosto densa, pulita e omogenea. Il naso è molto delicato, prima e dopo la cottura. E anche la prima sensazione al palato è piuttosto pacata, con il tipico sapore dolce acidulo del pomodoro e un lieve sentore di cotto. Ma la cottura concentra il gusto e lascia al palato una sensazione di pulizia e leggerezza. Nessuna traccia di amaro. In vendita presso Eataly e NaturaSì.

680 g prezzo 2,40/3,90 euro

La Collina BIO | Reggio Emilia | via Carlo Teggi, 38 | tel. 0522 306478 | www.cooplacollina.it

 

La Selva BIO

La passata dell’azienda bioagricola di Karl Egger è ottenuta dadiverse varietà di pomodori biologici di propria produzione e di aziende agricole partner nel sud della Toscana. La produzione è effettuata entro 24 ore dalla raccolta (dalla Dispensa di Campagna, stessa proprietà)senza aggiunta di altro: solo pomodoro fresco raccolto al giusto grado di maturazione. Le intenzioni coincidono con quanto emerge all’assaggio. Una passata bella e precisa color rosso fuoco, ben lavorata, pulita, fluida e omogenea. Delicatezza, pulizia e armonia al naso e in bocca sono la sua cifra, sia cruda che dopo la cottura. Non particolarmente esuberante ma senza neanche piacionerie, con i caratteristici profumi di pomodoro fresco e il perfetto equilibrio dolce/acido.

425 g prezzo 1,40-1,80 euro 

La Selva BIO | Orbetello (GR) | loc. Albinia s.da prov.le 81 - Osa, 7 | tel. 0564 88481 | www.laselva-bio.it

 

{gallery}pomodoroartigianale2{/gallery}

 

Le Lame BIO

Filiera chiusa, dalla terra al vaso di vetro,materia prima coltivata e lavorata secondo gli standard Demeter, complicità del terreno vocato e del clima, rispetto dei naturali tempi di maturazione dei pomodori, trasformazione con metodo delicato ed entro 24/48 ore dalla raccolta, pastorizzazione a bagnomaria. Sono questi i punti di forza delle conserve di pomodoro Le Lame, azienda salentina tra le prime biodinamiche in Italia, che produce a proprio marchio e per terzi (per esempio, Le Masserie del Duca). La passata di pomodoro convenzionale (c'è anche la versione di ciliegino) è prodotta con le varietà Rio Grande e Donald e aggiunta di sale. Si presenta abbastanza compatta, omogenea e densa, appena un rivolo di sostanza liquida che fuoriesce dalla parte fluida. Profumo, gusto e aromi rimandano al buon pomodoro lavorato dal fresco e secondo le migliori intenzioni, anche se al naso si percepiscono sentori estranei che la cottura dirada lasciando il posto a una materna e tenera dolcezza.

700 g prezzo 3,00/4,50 euro

Le Lame BIO | Cutrofiano (LE) | c.da Lame - C.M. 101 | tel. 333 2951641 | www.lelame.it

 

Maida BIO

Passata da podio, di filiera e biologica, lavorata in modo artigianale con un sacro rispetto della materia prima. I pomodori sono coltivati e trasformati nell'azienda agricola di Francesco Vastola, a un tiro di schioppo dai templi di Paestum, raccolti e lavorati in giornata, appena sbollentati quindi passati, invasati e pastorizzati senza ulteriori cotture, infine confezionati con il marchio Maida. La buona pratica si percepisce tutta in questa passata molto fine, fluida e vibrante, di tenera veracità. Tra gli ingredienti ci sono il sale e il basilico, condimento quest'ultimo che in genere non giova al prodotto, anzi, ma qui non disturba la pulizia e la freschezza vivace e giovanile della passata, i suoi meriti insieme a un esemplare equilibrio tra dolcezza e acidità. Un po' acquosa anche dopo la breve cottura. Per sughi di pomodoro sciuè sciuè da mantecare con la sua acqua o per ragù di carne dei giorni migliori: scegliete voi.

680 g prezzo 4,50-6 euro

Maida BIO | Capaccio Paestum (SA) | via Tempa di Lepre, 31/33 | tel. 0828 722 975 - 340 9811553 | www.maidaitaly.com

 

Masseria Dauna

Una bella passatona fresca, naturale e sincera, figlia di filiera chiusa. Nell'azienda, gestita da Saveria Pozzuto, nel Subappenino Dauno, i pomodori vengono coltivati, raccolti a mano, selezionati in campo aperto e lavorati “nature” appena staccati dalla pianta: solo l'ortaggio fresco, null'altro. Color rosso caldo, un po' fluida, profumi delicati, acidità naturale, un'amabile freschezza e un sapore molto pacato dovuto all'assenza di sale: è la sua cifra. Un prodotto che ispira fiducia, un jolly per qualsiasi piatto. Da podio.

700 g prezzo 3,80-4,20 euro

Masseria Dauna | Lucera (FG) | c.da Ripatetta - zona San Giusto | tel. 347 5345907 | www.masseriadauna.com

 

Masseria Mirogallo

Caratteristica e schietta, come deve essere una buona passata artigianale, quella dell'azienda agricola Belfiore, nel Parco delle Chiese Rupestri. Un prodotto di filiera, con coltivazione e trasformazione dei pomodori maison, senza aggiunta di sale o altro. Pulita, fluida e abbastanza omogenea color rosso scuro, ha i classici profumi orticoli e l'acidità tipica del pomodoro, con vaghi sentori di cotto che tuttavia non tolgono freschezza e pulizia. Non esuberante ma corretta e verace, buon comprimario per qualsiasi piatto.

540 g prezzo 2,30-3 euro

Masseria Mirogallo | Matera | c.da Mirogallo | tel. 0835 311532 | www.masseriamirogallo.it

 

Niasca Portofino - Il Fondaco

“Cara mamma, assaggia questa, con foglie di basilico dei nostri terreni che si affacciano sul borgo”. È il claim della passata a marchio Niasca Portofino, società che tra le varie attività si occupa di distribuzione di prodotti territoriali realizzati in collaborazione con aziende specializzate. La passata a proprio marchio è realizzata da Prunotto di Alba (CN) con pomodori italiani trasformati entro 48 ore dalla raccolta e il basilico genovese fresco conferito dalla società portofinese, senza aggiunta di sale. Una buona passata classica, dalla consistenza molto fluida e precisa, la giusta acidità, gli aromi caratteristici di pomodoro cotto e la “zampa” verde del basilico, ma discreta e non fastidiosa.

690 g prezzo 2,80 euro

Niasca Portofino - Il Fondaco | Portofino (GE) | via del Fondaco, 12a | tel. 0185 269069 | www.niascaportofino.it

 

I prezzi sono quelli medi al dettaglio

Tranne le prime classificate, le altre aziende sono in ordine alfabetico

 

a cura di Mara Nocilla

 

Articolo uscito sul mensile di Marzo 2017 del Gambero Rosso. Per abbonarti clicca qui

 

 

 

Slow Fish 2017 al Porto Antico di Genova. La tutela del mare attraverso l'educazione al gusto

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Ospiti italiani e internazionali, pescatori, produttori, ricercatori, cucine di strada regionali: tutti riuniti a Genova per l'evento dedicato al pesce e alle risorse del mare. Torna, come ogni due anni, Slow Fish al Porto Antico di Genova, dal 18 al 21 maggio.

Il programma

Giunta all'ottava edizione, la manifestazione - organizzata dall’associazione Slow Food Italia e dalla Regione Liguria, in collaborazione con il Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali – è sempre una bella occasione per tornare a parlare di risorse ittiche e salvaguardia dei mari. Tema di quest'anno: “La rete siamo noi”, con l'obiettivo di condividere e sostenere un approccio buono, pulito e giusto alla filiera ittica, alla biodiversità marina e all’equilibrio delle acque dolci. Il punto di riferimento per chi vuole seguire gli incontri e i dibattiti è la Casa Slow Food. Qui è possibile vivere il racconto di piccole comunità della pesca, come quella dei Caraibi che sta portando avanti la lotta contro il pesce leone (una specie aliena proveniente dagli oceani Pacifico e Indiano che a causa della sua voracità ha provocato seri danni all’ecosistema marino dei Caraibi, portando le popolazioni di interesse commerciale, come l’aragosta, al limite dell’estinzione) o quella di Ngaparou, una località costiera del Senegal, che ha dovuto affrontare i danni causati da pratiche diffuse di pesca aggressiva. Per approfondire le questioni di salute e nutrizione, invece, ci si deve spostare nella saletta didattica di Eataly Genova, qui durante gli appuntamenti Master of Food dietisti e nutrizionisti cercheranno di fare chiarezza, sfatando i falsi miti riguardanti il pesce.

La Cucina dell’Alleanza e il Mercato con i Fish-à-porter

Accanto ai pescatori e ai nutrizionisti ci sono i cuochi della Cucina dell’Alleanza, un vero e proprio teatro in cui gli attori cucinano e raccontano gli ingredienti. Tra gli altri, Pasquale e Luca Tarallo del Ristorante Paisà a Montecorice preparano una Zuppetta mediterranea di ceci di Cicerale con alici di Menaica Danilo Antonio Vasta del Ristorante T-Porto di Muggia un Calamaro farcito al formadì frant, pan di sorc e timo marittimo, accompagnato da un bagnetto di fave e cipolla di Cavasso e della Val Cosa brasata in aceto d’uva. Dall’Ecuador, Esteban Tapia porta l’encocado di gamberi, ovvero riso con gamberi in latte di cocco. E per chi vuole vivere l'esperienza autentica del mercato, ci sono le bancarelle di pesce fresco e conservato con i Fish-à-porter. Quest'anno, poi, nella cucina allestita tra i banchi del mercato, cuochi e pescatori si alternano preparando piatti semplici e gustosi e spiegandone la storia, gli ingredienti, le particolarità. Qualche esempio? Dal susci di Moreno Cedroni, preparato con il pesce povero dell’Adriatico, al bacalao, dal court bouillon alle meduse. Oltre alla Cucina dell’Alleanza e al Mercato, sono altri i luoghi conviviali della manifestazione. Come l'Enoteca con 300 etichette italiane, la Piazza delle Feste, che ospita eventi di mixology, e Piazza Caricamento dedicata alle pizze e alle birre.

Gli Appuntamenti a Tavola

Tra gli eventi più classici e attesi di Slow Fish ci sono le cene ospitate all’interno del Palazzo Branca Doria, nel Cavo Ristorante, e nel ristorante Il Marin di Eataly Genova. Molti gli chef coinvolti ma solo uno il filo conduttore: il pesce, che sia di lago, fiume, laguna o mare. Aprono le danze, mercoledì 17 maggio, Maurizio Sandro Serva del ristorante La Trota di Rivodutri, ma la kermesse continua con Giorgio Dal Forno, del ristorante Ai Tre Canai di Marano Lagunare, in provincia di Udine, Corrado Scaglione e Valeria Mosca, che preparano per l'occasione pizze fatte con farine ricavate da fiori e piante edibili unite a quelle di frumento, Luigi Taglienti da Lume a Milano. E ancora il colombiano Roy Caceres alla guida del Metamorfosi di Roma, il giapponese Yoji Tokuyoshi dell'omonimo ristorante di Milano, Elvio Milleri, chef di Era Ora a Copenaghen, Moreno Cedroni de La Madonnina del pescatore di Senigallia e infine Mauro Colagreco del Mirazur di Mentone.

 

Slow Fish 2017 | Porto Antico di Genova, Genova | dal 18 al 21 maggio, dalle 11 alle 23 (domenica fino alle 19) | Ingresso gratuito | slowfish.slowfood.it

 

a cura di Annalisa Zordan

 

 

6 fotografi di cibo per un collettivo: vi presentiamo Zest

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Prendi 6 giovani fotografi appassionati di gastronomia e specializzati nella rappresentazone del cibo, mettili insieme e ottieni Zest, il primo collettivo di food photographer. 

Un'intervista con risposte a a 12 mani, quelle dei 6 fotografi di Zest. Il primo collettivo di food photographer d'Italia. Giovani, col loro progetto interpretano il concetto contemporaneo di “condivisione”. Che è soprattutto condivisione di saperi, contatti, riflessioni.

Sono Ilva Beretta, Alessandra Desole, Andrea Fongo, Raffaele Mariotti, Tatiana Mura, Laura Negrato. E noi li abbiamo intervistati.

 

 

Andrea Fongo

Foto di Andrea Fongo

 

Cosa è Zest?

Zest è il nome che ci siamo dati come collettivo di fotografi di food. Il significato più immediato è scorza di limone o di arancia ma significa anche entusiasmo, interesse e passione. Questi tre aggettivi riassumono quello che per noi rappresenta il food. Zest è formato da sei fotografi: Ilva Beretta, Alessandra Desole, Andrea Fongo, Raffaele Mariotti, Tatiana Mura, Laura Negrato.

 

Come e quando ma soprattutto perché nasce l'idea del collettivo?

Siamo nati a inizio 2017. Ci siamo conosciuti in un altro progetto che abbiamo deciso di abbandonare per creare un collettivo dove siamo rappresentati solo da noi fotografi.

dittico_Ale_DesoleFoto di Alessandra Desole (dittico)

 

Quali sono i vantaggi di consorziarsi?

Molteplici. Vale sempre il detto “l’unione fa la forza”. Poi rappresentiamo il concetto moderno di condivisione: ci si confronta, si discutono aspetti tecnici, idee creative e progettualità. Così facendo diventiamo tutti dei fotografi migliori.

 

Quali sono le cose che condividete?

Tranne due di noi su Milano, gli altri vivono in altre regioni d’Italia, perciò la nostra resta prima di tutto una condivisione di know-how, contatti, idee e progetti.

 

Non temete che le vostre singole identità di fotografi possano essere messe in ombra dall'immagine complessiva del gruppo?
Ognuno di noi ha un suo stile riconoscibile. Comunque abbiamo voluto mantenere un equilibrio, sia nel sito sia nei nostri canali social, dove coesistono l’identità di ogni singolo autore insieme a quella del collettivo.

 

Ilva_Beretta_Foto di Ilva Beretta

 

Le vostre tariffe sono uniformi oppure ognuno ha un prezzario differente? E come si riesce a gestire all'esterno?

Ogni autore del collettivo gestisce il proprio lavoro autonomamente e, di conseguenza, le tariffe che ritiene opportuno applicare. Nel caso in cui, invece, il lavoro venga affidato al collettivo la tariffa viene decisa di comune accordo.

 

Fate solo foto di cibo o anche altri generi?

Per la maggior parte degli autori il lavoro non si esaurisce con la food photography ma copre anche altri ambiti.

 

Amare il (buon) cibo è necessario?

Come in ogni professione anche nella food photography la buona riuscita del lavoro non può prescindere dalla conoscenza del soggetto trattato, ma serve anche una passione per l’arte culinaria e il cibo in ogni suo aspetto.

 

Da quando avete iniziato a occuparvi di fotografia a oggi, come è cambiato il vostro modo di fotografare?

Il lavoro è in continua evoluzione dal momento che la food photography ha tendenze che si modificano nel tempo, quindi anche il modo di fotografare segue di pari passo le richieste del mercato.

 

Laura_NegratoFoto di Laura Negrato

 

Cosa ha portato nel vostro modo di lavorare la creazione di questo collettivo?

La creazione di Zest ha portato soprattutto dialogo ma anche appoggio e sostegno. I fotografi, in generale, lavorano da soli e per se stessi, invece fare parte di un gruppo porta con sé il confronto tra diverse esperienze, professionalità e background. Diciamocelo, anche tanta pazienza per quanto riguarda l'organizzazione visto che siamo dislocati in varie parti d'Italia.

 

Come definisce ognuno di voi le proprie foto?

Raffaele Mariotti: croccanti. Tatiana Mura: alternative. Ilva Beretta: risultato di un'ossessione per la luce. Alessandra Desole: pop e contemporanee. Andrea Fongo: estetizzanti. Laura Negrato: introspettive.

 

Per chi lavorate e come?

Siamo pronti per ogni tipo di collaborazione che abbia a che fare col cibo, che sia una commissione o anche una richiesta di immagini che facciano già parte del nostro repertorio. Il fatto che siamo un collettivo di fotografi con diverse attitudini, stili e modi di lavorare significa che possiamo coprire molteplici richieste, insomma un ampio spettro d’azione a portata di click!

 

Raffaele_MariottiFoto di Raffaele Mariotti

 

Capita mai che ci sia un lavoro che arriva a uno di voi e poi, invece, viene passato a qualcun altro perché ha più affinità con quel che deve fare?

Ancora non è successo ma sicuramente capiterà in futuro, è questo lo spirito che ci accomuna.ù

 

Fate mai dei progetti insieme?

Zest è nato da poco, e non c’è stato ancora modo di partecipare attivamente a più mani su qualche progetto ma una delle idee alla base del collettivo è proprio la condivisione, e ci stiamo infatti muovendo per collaborare insieme a workshop, mostre, e altri progetti in cantiere.

 

Quali sono le novità più interessanti del mondo del cibo degli ultimi anni secondo voi?

A nostro avviso la cosa più interessante è che negli ultimi anni è cresciuto in maniera esponenziale l’interesse per questo mondo, portando l’attenzione mainstream su un settore che in precedenza era riservato agli addetti ai lavori. Questo ha significato un fiorire di nuove figure professionali, nuove opportunità di lavoro e un’attenzione a volte maniacale su tanti aspetti del mondo del food, dal foodblogging agli show in tv, dai libri di qualità ai documentari.

Tatiana MuraFoto di Tatiana Mura

 

I clienti capiscono la differenza tra un professionista e uno improvvisato?

Purtroppo c’è molta improvvisazione e approssimazione. A volte si fatica a far percepire la qualità del proprio lavoro con alcune tipologie di clienti e questo è dovuto sia alla poca preparazione del cliente sia a una saturazione del settore fotografico. Spesso vige il concetto del “good enough”, in cui quello che viene richiesto è alla portata anche di un non professionista, e si innesca un meccanismo da cui è difficile uscire.

 

Ora con le nuove tecnologie alla portata di tutti, dagli smartphone e alle fotocamere amatoriali sempre più sofisticate, come cambia il vostro lavoro?

Ci sono lati sia positivi che negativi: quello positivo è che le persone sono più propense ad avere una visuale estetica e recepiscono l'importanza di usufruire di una buona immagine per presentare il proprio prodotto. D'altra parte, con la democratizzazione del mezzo fotografico, molti "fotoamatori" accettano lavori pagati in visibilità o retribuiti pochissimo e questo va ad incidere sul lavoro del professionista che investe tempo e denaro per fornire un servizio professionale.

Andrea Fongo

Foto di Andrea Fongo

 

Cosa vi piace e cosa non vi piace del mondo del cibo e della food photography?

Per molti versi è un mondo meraviglioso, il cibo oltre che coinvolgere tutti i sensi è anche nutrimento sia per il corpo che per la mente. Oggi, più che nel passato, si lavora per rendere il cibo più sostenibile e di alta qualità e questa è la giusta direzione per il futuro. Il cibo però è diventato anche un bene di consumo e lo spreco alimentare è un tema urgente da affrontare.

La food photography si è evoluta tanto ed è diventata, nel presente, un genere riconosciuto e di spicco e di questo ovviamente noi siamo contenti! Il rovescio della medaglia è che basta dare uno sguardo ai social come Instagram per esempio, e si noterà la tendenza all'uniformazione dell'immagine. È per questo che pensiamo che Zest sia utile per i compratori, art directors e clienti commerciali: perché offriamo una scelta di sei differenti modi di rappresentare il cibo, tutti diversi e distinti e assolutamente in linea con le tendenze.

 

A proposito: come la mettete con le app tipo Istagram?

Instagram è una grandissima risorsa. È vero: nei social in generale domina il foodporn ma usare in maniera intelligente i social permette di farti conoscere da un vasto pubblico senza dover ricorre a spese pubblicitarie.

Laura NegratoFoto di Laura Negrato

 

Cosa manca all'Italia del cibo e soprattutto al racconto per immagini del cibo?

L'Italia sta iniziando ad aprirsi ad influenze esterne, viene usata molta più luce naturale e la "golden light" che ha dominato fino a ieri sembra che stia svanendo, aprendo la strada a delle immagini più naturali. Ovviamente c'è ancora molta strada da fare per uno stile che sia fresco, internazionale ma con un distinto e riconoscibile tocco italiano.

 

A cosa puntate? Carta stampata? Web? Campagne pubblicitarie? Libri? E come cambia i lavoro rispetto a queste variabili?

Ognuno di noi si dedica maggiormente ad un settore rispetto ad un altro ma come collettivo ci muoviamo su differenti generi fotografici. Una foto pubblicitaria può essere molto diversa rispetto a una editoriale. Cambia lo stile, cambia il messaggio talvolta possono cambiare anche gli strumenti. L'importante è non perdere mai di vista cosa si vuole comunicare attraverso la foto.

 

La differenza tra una foto commerciale e quella per un libro o un altro prodotto?

Per una campagna pubblicitaria il prodotto sarà il vero protagonista dell'immagine, per una rivista o un libro di cucina anche la preparazione del piatto è importante e bisogna riuscire a trasmetterla con uno scatto.

 

Foto di Raffaele MariottiFoto di Raffaele Mariotti

 

Il cibo più difficile da fotografare?

Il cibo più difficile da rendere appetibile è sicuramente la carne. Ma gli alimenti più difficoltosi da fotografare sono quelli facilmente deperibili. Il gelato, per esempio, che si scioglie velocemente o le verdure a foglia verde che se non trattate da un food stylist con prodotti ad hoc appassiscono in fretta.

 

Analogico o digitale? Luce naturale o luce artificiale?

Preferiamo il digitale. Per ogni shooting si scattano moltissime foto e il digitale è sicuramente la scelta più appropriata, anche per la postproduzione. Per la luce alcuni di noi preferiscono la luce naturale, altri quella artificiale. Non c'è una regola, dipende dal proprio gusto, stile e soprattutto da cosa vogliamo ottenere.

 

Foto di Tatiana MuraFoto di Tatiana Mura

I trend nella fotografia di cibo secondo voi.

Tra i linguaggi visivi più usati abbiamo quello Pure white, nel quale predomina il bianco molto lineare e pulito. Un altro stile molto in voga al momento è quello Mystic light che a differenza dello stile citato in precedenza vuole un gioco di luci e ombre, qui dominano i contrasti. Potremmo citare anche lo stile pop che si ispira alla pop art ricco di colori, provocatorio e mai banale o lo stile legato ai simboli, alternativo in cui il cibo perde il suo significato originale.

 

Zest | https://www.zestphotocollective.com/

 

a cura di Antonella De Santis

foto di apertura di Ilva Beretta

 

Scienza, digital marketing e cibo. Due festival da non perdere a maggio, a Mantova e Pistoia

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Due festival che inquadrano il cibo da prospettive diverse da quella strettamente gastronomica, uno attraverso la lente della scienza, l’altro per la commistione con innovazione digitale e marketing. Due appuntamenti da non perdere, ricchi di ospiti, seminari, laboratori aperti e naturalmente assaggi.

Food and Science Festival a Mantova

Partiamo da Mantova, che dal 5 al 7 maggio ospiterà il Food and Science Festival, una tre giorni dedicata alla relazione fra cibo e scienza, un legame indissolubile che guida la mano dell’uomo da secoli. Grazie alla ricerca e alla tecnologia, l’uomo è stato in grado di migliorare la produzione di cibo, di creare filiere per il commercio, di sviluppare tecniche agricole avanzate e di pensare a soluzioni efficienti per la distribuzione delle risorse alimentari. Di questo e di molto altro si discuterà in diverse location della città: piazze e vie del centro storico, ma anche al Palazzo della Ragione, al Mantova Multicentre MaMu e al Teatro Bibiena.

Sono oltre cento gli eventi previsti dal Food Science Festival tra mostre, laboratori e conferenze con speaker di fama nazionale e internazionale, oltre a diverse occasioni per scoprire le eccellenze della ricerca e dell’enogastronomia italiana.

Tanti gli ospiti che animeranno il festival: da studiosi come Nina Fedoroff, Robert Ford Denison, Pierdomenico Perata, Attilio Scienza, Dario Bressanini, Fabio Parasecoli a giornalisti come Alok jha, Amelia Beltramini, Allan Bay, Marco Ferrari, passando per designer come Marti Guixé, cuochi come J. Kenji López-Alt, pasticceri come Iginio Massari, panificatori come Marino Tanfoglio.

 

Cibiamoci Festival a Pistoia

La prospettiva del digital marketing è quella preferita da Cibiamoci, il festival che si focalizza sulla formazione per coloro che lavorano in ambito food&wine. L’obiettivo è far conoscere agli operatori del settore strategie, strumenti e attività di digital marketing da mettere in pratica per creare e consolidare la propria presenza sul web, migliorare la reputazione del brand e vendere online i propri prodotti. Il 16 maggio si riuniranno a Pistoia produttori, ristoratori, albergatori, chef, giornalisti, food blogger e marketer, per partecipare a incontri, workshop, seminari e lezioni aperte. Tanti gli eventi dell’unica giornata del festival, in particolare suggeriamo i laboratori sul menu design e neuromarketing di Nicoletta Polliotto (Muse Communication), sul food styling & food photography a cura di Paola Buzzini (Soap Opera), sulla gestione dei social per migliorare il proprio brand di Andrea D'Ottavio (Webing Academy), ma anche le lezioni sul rapporto fra vino e tecnologie digitali condotto da Susana Alonso (Sorsi di web), quello sul food commerce online di Fabrizio Todisco (consulente marketing & event manager free lance) e quello sulle certificazioni digitali in ambito street food, a cura di Mauro Rosati (Qualivita).

Food Science Festival | Mantova | dal 5 al 7 maggio 2017 | /www.mantovafoodscience.it

Cibiamoci Festival | Pistoia | via Bonellina, 46 | 16 maggio 2017 | www.festival.cibiamoci.it

 

 

a cura di Francesca Fiore

 

 

La rinascita di Palazzo Seneca a Norcia. E nella cucina del Vespasia arriva Valentino Palmisano

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Un viaggio di migliaia di chilometri per tornare a casa, in Italia, dopo sette anni trascorsi in grandi cucine asiatiche, fino a qualche settimana fa alla guida della Locanda dell'hotel Ritz Carlton di Kyoto. Campano di grande talento, Palmisano accetta la sfida della famiglia Bianconi: il 29 aprile riapre il relais nel cuore di Norcia, il primo dopo il terremoto. E con lui il “nuovo” Vespasia. 

Palazzo Seneca. La rinascita dopo il sisma

Prima del 30 ottobre 2016, quando alle 7 di una mattina di festa la terra in Centro Italia tremava di nuovo, ancora più forte, colpendo nel cuore il borgo antico di Norcia, il ristorante Vespasia di Palazzo Seneca era l'emblema di una ristorazione di territorio che sa vestirsi da meta gourmet senza perdere in naturalezza e identità. Come del resto l'elegante relais che la famiglia Bianconi – Vincenzo e Federico i due fratelli che lo conducono oggi - ha saputo approntare negli anni, apprezzato in Italia e dalla clientela internazionale per bontà dell'accoglienza e fascino della struttura, un bel palazzo nobile del Cinquecento con corte interna, a pochi metri dalla basilica di San Benedetto. Sorti diverse quelle che aspettavano i due edifici storici a seguito del sisma: la chiesa del santo patrono di cui resta solo la facciata, icona della difficile convivenza tra l'uomo e la forza improvvisa di una natura che sa spaventare; l'albergo, tra le proprietà della famiglia che dal 1850 (cinque generazioni) fa impresa a Norcia con cinque strutture d'ospitalità e circa 100 dipendenti, praticamente illeso, perfettamente agibile sin dal principio. Ma i mesi trascorsi finora sono stati necessari per mettere in sicurezza gli edifici adiacenti, effettuare perizie tecniche più approfondite, ripartire con il giusto slancio in vista della riapertura in programma per il 29 aprile, quando la struttura sarà restituita alla città, primo albergo a riaprire i battenti nel centro storico di Norcia dopo il terremoto.

 

La festa del 29 aprile

Un traguardo simbolico che è pure una tappa concreta verso il ritorno alla normalità di una comunità che non si è data per vinta, e tanti saranno i piccoli produttori agroalimentari della zona invitati a partecipare alla festa inaugurale di sabato prossimo, quando a Palazzo Seneca si ritroveranno insieme alla famiglia Bianconi e al sindaco Nicola Alemanno anche il commissario per la ricostruzione Vasco Errani, il presidente della regione Umbria Catiuscia Marini e il dirigente della Protezione Civile Alfiero Moretti. Poi arriveranno i primi clienti, con l'auspicio che siano numerosi: il 20% del ricavato della vendita delle camere del Relais&Chateaux sarà devoluto per tutta la primavera e l'estate a due progetti sociali per sostenere la rinascita della cittadina (attività ricreative e sportive gratuite per i bambini di Norcia e un corso di sostegno per i genitori che proprio ai più piccoli vogliono cercare di spiegare il terremoto, e come comportarsi). Mentre si lavora al fianco delle Istituzioni per realizzare un Passaporto dei virtuosi per gli immobili locali. Ma la novità vera, per chi Palazzo Seneca ha imparato a conoscerlo invogliato dall'ottima tavola del Vespasia - alla guida della cucina l'ischitano Emanuele Mazzella (ora di nuovo a Ischia, a Villa Porro Pirelli), in menu gli ingredienti d'eccellenza del territorio e della tradizione norcina – è il cambio di chef che tra qualche giorno offrirà i primi risultati di un lavoro iniziato ormai più di un mese fa.

 

Valentino Palmisano. Da Kyoto al Vespasia

I primi contatti, tra la famiglia Bianconi e Valentino Palmisano, sono intercorsi a febbraio: l'enfant prodige della cucina italiana all'estero – 4 anni a Shangai e più di tre anni in Giappone, a Kyoto, fino alla fine di marzo – era in cerca di nuovi stimoli, per ricominciare altrove dopo i trascorsi assai proficui e fortunati in Estremo Oriente: “Sentivo l'esigenza di cambiare, la sfida di Norcia mi ha subito conquistato. In fondo mi si presenta l'opportunità di restituire qualcosa: per tanti anni ho portato in giro la fama del nostro Paese, fregiandomi del prestigio della cucina italiana, che mi ha aiutato moltissimo. Ora sono pronto a mettermi in gioco per il riscatto morale e la rinascita di una terra che ha molto da offrire”. Lui, classe 1980 da Pianura, prima periferia di Napoli, è uno dei tanti talenti che l'Italia esporta nel mondo: cresciuto professionalmente tra Sant'Agata sui due Golfi, Ravello e Capri, tra il Don Alfonso, il Rossellinis e l'Olivo del Capri Palace al fianco di maestri come Alfonso Iaccarino, Pino Lavarra, Oliver Glowig, in Asia Valentino ha trovato la sua strada più di sette anni fa. Fino all'approdo al Ritz Carlton, di Kyoto, una delle strutture alberghiere più esclusive del Giappone, per intraprendere un percorso gastronomico di contaminazione nella cucina della Locanda, l'Italia nel Paese del Sol Levante all'insegna della semplicità, quella più difficile da mettere nel piatto (tante le similitudini con il collega Luca Fantin, star del Bulgari di Tokyo).

La semplicità nel piatto: il valore dell'ingrediente funzionale

A Palazzo Seneca inizia l'ennesima sfida nel settore alberghiero: “Sono abituato a lavorare nell'hotellerie, ma il rapporto deve sempre privilegiare la ristorazione, concepita come asse portante di un'ospitalità che si avvale del supporto delle camere per completare l'esperienza del cliente”. Insomma, l'ambizione è quella di guidare una cucina che non sia semplicemente funzionale all'albergo, ma spina dorsale di un progetto articolato. Pure per riconquistare al più presto il prestigio (un macaron sulla Michelin e due forchette del Gambero Rosso al momento della chiusura) e l'equilibrio che il terremoto ha bruscamente spezzato. Cosa dobbiamo aspettarci, dunque, dal rinato Vespasia? “Sono campano, ma la parentesi asiatica mi ha molto cambiato, nel modo di pensare e cucinare. Certo, escludo che per rilanciare Norcia possano essere utili alga kombu e carne wagyu, mi sembrerebbe una beffa. Nella mia filosofia non esistono buoni e cattivi, piuttosto ingredienti funzionali allo scopo”. Un concetto, questo, molto legato alla cultura giapponese: scegli il prodotto migliore per l'obiettivo che vuoi raggiungere. Il risultato non sarà mai scontato, o fine a se stesso. Per questo negli ultimi giorni Valentino ha esplorato il territorio, incontrato personalmente 40 produttori, toccato con mano gli ingredienti che entreranno in cucina, dallo zafferano umbro alla pasta realizzata con un monograno dei Monti Sibillini coltivato a 600 metri d'altitudine, “l'amido è molto più fine, sono campano e amo la pasta di Gragnano, ma questa ora è più adatta allo scopo”. In tavola si traduce in un piatto di spaghetti al pomodoro dove ogni ingrediente – dal pomodoro (una trentina di blend diversi, quelli passati al vaglio) all'acqua, all'olio – acquista il suo peso: “Ci ho messo 6 mesi a perfezionarla, ora sto chiudendo il cerchio. A proposito di quanto è difficile servire la semplicità”. Che non giustifica il difetto, né un prezzo elevato se manca l'equilibrio perfetto.

 

Stagionalità e menu breve

L'altro asse portante sarà la stagionalità, “in Giappone sono maniacali, non ordinerebbero mai un ingrediente fuori stagione”; ecco perché il nuovo menu sarà breve, e cambierà di continuo, anche settimanalmente, se necessario. In carta tre antipasti, tre primi, tre secondi e altrettanti dolci, più una proposta vegetariana e vegana (il percorso verde, come la speranza), con la possibilità di scegliere tra due percorsi degustazione, il bianco e il rosso, come i colori dello stemma di Norcia. Per pranzo, presto, anche una formula business lunch. E poi c'è la linea dedicata all'albergo, la colazione e il servizio in camera. Profondo l'ascendente orientale sul versante tecnico: “Porto con me a Norcia i brodi di pesce e di verdure, tagli e lavorazioni di carne e pesce che ormai permeano il mio approccio alla materia prima”. Italianissima la brigata, “molti sono ragazzi del posto, che conoscono il territorio, i produttori, hanno un rapporto con la famiglia Bianconi. E tanto entusiasmo di ricominciare”. Per la cena d'esordio, sabato 29, il libro delle prenotazioni è già al completo, e Norcia, durante le festività appena trascorse, ha beneficiato di un ritrovato movimento. Del resto, “i norcini non si lasciano abbattere facilmente, sono provati, ma molto tenaci” L'in bocca al lupo è d'obbligo, “viva il lupo!”, risponde convinto Valentino.

 

Vespasia dell'hotel Palazzo Seneca | Norcia | via Cesare Battisti, 10 | tel. 074 3817434 | www.vespasia.com

 

a cura di Livia Montagnoli

Pick your own. Lo sviluppo della raccolta fai-da-te nelle campagne lombarde

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Un'innovativa pratica agricola si sta diffondendo sempre di più nelle province di Milano, Lodi e Bergamo: è l'auto-raccolta, sistema che offre ai consumatori la possibilità di cogliere da soli i frutti che desiderano acquistare direttamente dal campo.

L'auto-raccolta

Ho piantato 700 ciliegi, soprattutto duroni, ma anche 20 peschi, 20 susini, varie piante di more e lamponi, poi 100 piantine di mirtilli. Ho anche delle arnie. Insieme ai compagni dell’agraria faremo miele di acacia e millefiori”. A raccontare di questo progetto è il giovane Marco Mizzi, 26enne di Montanaso (Lodi) appassionato di agricoltura che ha deciso di recuperare circa un ettaro e mezzo di terreno incolto per vivere dei frutti della terra. Lasciando ai consumatori la possibilità di scegliere e raccogliere autonomamente quelli che preferiscono. Si chiama 'pick your own' ed è una nuova pratica di auto-raccolta nata nel Regno Unito e diffusasi da qualche anno a questa parte anche nel Nord Italia. Il sistema è semplice: i clienti si recano nell'azienda agricola, selezionano i prodotti disponibili su consiglio dei proprietari, e li colgono direttamente dall'albero o dall'orto. Una tecnica così innovativa e originale non poteva che coinvolgere il pubblico più giovane, stimolando i ragazzi appassionati a sviluppare una mentalità imprenditoriale. Quando ha incominciato ad avviare il frutteto, Marco aveva solo 23 anni e si era iscritto alla Facoltà di agraria a Milano. “In terza elementare già dicevo che volevo fare il fiorista. Invece sono arrivato a coltivare la frutta con il metodo della lotta integrata. È difficile trovare qualcuno che lo faccia. Più avanti, magari, arriverò al biologico puro, ma prima devo imparare”. Oggi ha un'attività ben rodata: “A chi si presenta al mio campo consegno dei cestini da un chilo, spiego come raccogliere e indico quali sono i filari già maturi”.

La formazione del consumatore

Ma Marco non è il solo ad aver scommesso su questo nuovo modello di impresa. Nelle province di Milano, Lodi e Bergamo, diversi agricoltori stanno sperimentando questo metodo. A Valbrembo, in provincia di Bergamo, è il 28enne Matteo Locatelli a metterlo in pratica: “Abbiamo un totale di circa 8600 piante da frutto e diamo la possibilità ai nostri clienti di cogliere direttamente dai rami ciliegie e pesche”. Cestini da 1, 2 o 5 chili per un prezzo che si aggira attorno ai 4 euro al chilo. Ma c'è anche la possibilità di comprare cestini già confezionati con frutta selezionata a 5 euro al chilo. Un sistema di vendita innovativo che contribuisce anche alla formazione del consumatore: raccogliendo da sé i frutti, il cliente si trova costretto a doversi confrontare direttamente con il produttore per uno scambio continuo di informazioni. In questo modo, viene a conoscenza dei tempi di maturazione dei prodotti e dei metodi di raccolta, e soprattutto può osservare sul campo quanto è complesso e arduo il lavoro agricolo. A questo proposito, Matteo fa anche lezioni ai bambini,“per insegnare loro la cultura dei cibi sani e genuini e il rispetto per la natura”.

Ma come funziona l'auto-raccolta? “C'è chi arriva da casa già con le proprie borse, mentre a chi ne è sprovvisto diamo noi delle cassette”, spiegaGiuliano Fumagalli, 52 anni, di Oreno di Vimercate. Per comunicare al meglio i prodotti e i tempi di raccolta, poi,“all'entrata si trova un cartello dove scrivo cosa su può raccogliere in quel determinato giorno”. E il prezzo? “Un euro al chilo indifferentemente da quali ortaggi abbia colto”.

I vantaggi e il successo

Diversi i vantaggi di questo sistema, primo fra tutti “il fatto di non avere costi di manodopera”. Una riduzione notevole dei costi fissi: Giuliano ha infatti smesso di fare pubblicità, “ho un'ampia clientela molto fidelizzata”, tanto da arrivare ad accogliere circa 200 clienti ogni sabato. Perché quella dell'auto-raccolta è una pratica che coinvolge un pubblico variegato, dalle famiglie con bambini agli appassionati, dagli addetti ai lavori ai consumatori comuni che vogliono sentirsi parte della filiera produttiva. “Quella della raccolta fai da te”, spiega Sofia Montorfano, 36 anni, di San Damiano di Cantù (Como), “più che un'idea è stata una richiesta specifica dei nostri clienti abituali, alla quale siamo voluti andare incontro”.

E i fiori...

Ma non solo frutta e verdura. A Cornaredo, in provincia di Milano, due giovani olandesi, Edwin Koeman e Nitsuhe Wolanios, hanno portato in Italia il primo giardino di tulipani, dove i consumatori possono entrare e cogliere personalmente quelli che preferiscono. Coltivazione a regime biologico, “niente antiparassitari” per un terreno di circa un ettaro, che Edwin è riuscito a preparare grazie alla collaborazione di alcuni agricoltori Coldiretti della zona.

a cura di Michela Becchi

Paolo Trippini raddoppia a Orvieto con la gestione de La Badia

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La sfida dello chef umbro: proporre una sperimentazione più ardita ai turisti in cerca di tradizione che raggiungono il ristorante appena fuori Orvieto, ospitato all’interno di un’abbazia del XII secolo.   

Dal lago di Corbara a Orvieto

Paolo Trippini (già alla guida del ristorante omonimo a Civitella del lago, con vista sul lago di Corbara, ereditato dalla famiglia) ha accettato una nuova sfida: con la gestione del ristorante de La Badia, appena fuori Orvieto, dovrà soddisfare le aspettative dei turisti che vengono in Italia in cerca della tradizione più ortodossa. E anche quelle di qualche italiano.

Il nuovo corso del ristorante manderà in pensione le tavolate allestite a banchetto medievale con quarti di manzo pronti a essere arrostiti, salsicce, fegati, salumi e formaggi di ogni tipo che ancora campeggiano nelle foto del dépliant alla reception dell’hotel. Una nuova proposta sostituirà la prima con aperture al pesce di mare, piatti ricercati, creativi. Proponendo anche tutto il gusto delle materie prime delle campagne circostanti in versione più moderna e anche più briosa.

I turisti che soggiorneranno nella struttura a quattro stelle dovranno fare i conti con piatti che mai si sarebbero aspettati di trovare all’interno di un’abbazia dell’inizio del XII secolo. O forse sì.

La Badia si fa notare già dalla strada che sale alla rocca di Orvieto da Porta Romana. È quella “isola di pietra in un mare di verde”, sempre per citare il dépliant, la cui torre dodecagonale spicca tra i boschi e solo a un occhio distratto potrebbe sembrare a pianta circolare. Dodici lati, uno per ogni apostolo e opera di Matilde di Canossa, ancora oggi si erge con i suoi 28 metri sul resto della struttura. La Badia è ora un complesso medievale perfettamente mantenuto e adattato a struttura alberghiera. Al suo interno ospita una cappella consacrata nella cui sacrestia sono ancora presenti affreschi attribuibili alla scuola di Giotto. Una vasta sala congressi anch’essa affrescata. E il ristorante.

Vista l’offerta, i matrimoni con rinfresco sono all’ordine del giorno e il ristorante, date anche le esigenze degli ospiti dell’albergo, rischiava di non sfruttare al massimo le potenzialità anche della vicina uscita autostradale e dell’imponenza della struttura (che non passa certo inosservata).

Cucina sperimentale, mare e prodotti del territorio

La gestione di Paolo Trippini, che si afferma ora in pianta stabile forte di una presenza nel luogo legata alla gestione degli eventi, si va a inserire dunque in questo contesto con obiettivi arditi. Lo chef ha intenzione di proporre la sua cucina fatta di sapori nuovi e ricercati, senza mettere in secondo piano gli ingredienti della tradizione e soprattutto i sapori decisi dell’Umbria. Apre con il mare, servendo, tra gli altri, un Polpo con pera, frutti rossi e asparagi e punterà molto sulle zuppe e sui legumi. Carne di maiale sì, ma col rabarbaro e la birra artigianale di Centolitri.

Circa settanta coperti sono distribuiti in tre sale contigue con volte a botte, pareti in pietra e tufo e nello spazio esterno si può arrivare anche al doppio.

Per ora si può fare riferimento, per trovare il ristorante, alla struttura La Badia, ma presto sarà lanciato il nuovo brand, su cui Paolo Trippini sta ancora lavorando, che darà la connotazione ufficiale alla filosofia di quello che si troverà in carta.

 

La Badia | loc. La Badia 8, 05019 Orvieto (TR) | tel. 0763.301959 | www.labadiahotel.it

 

Testo e video a cura di Saverio De Luca

 


Mini guida di Ragusa, cosa vedere e dove mangiare nel cuore del Barocco siciliano

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Una città-gioiello, Patrimonio dell’Umanità per l’Unesco, che deve la sua bellezza a un tragico evento, il terremoto del 1693. Vi portiamo nel cuore del Barocco siciliano, alla scoperta dei posti più suggestivi e delle migliori tavole di Ragusa.

Ragusa, il terremoto e l’arte barocca

“La città dei ponti”, “l’isola nell’isola”, “l’altra Sicilia”. Sono diversi gli appellativi con cui Ragusa è stata chiamata nel corso dei secoli, a testimonianza delle molte vite vissute da questo centro. La città-gioiello del Barocco siciliano deve la sua bellezza e la sua fama a un evento tragico: il terremoto che, l’11 gennaio 1693, distrusse l'antico agglomerato e causò circa 5 mila morti su una popolazione di 13 mila abitanti. Dopo il sisma, Ragusa fu ricostruita completamente e suddivisa in due: Ragusa superiore, che comprende l’abitato moderno ed è situata su un altipiano, e Ragusa Ibla, edificata sulle rovine dell'antica città e ricostruita secondo l'antico impianto medioevale, che ospita i resti di oltre cinquanta chiese e numerosi palazzi nobiliari. È stata proprio questa ricostruzione a dare origine alle suggestive architetture in stile barocco siciliano che caratterizzano non solo Ragusa, ma l’intera Val di Noto: elementi artistici così preziosi da diventare Patrimonio dell’Umanità per l’Unesco dal 2002.

 

Ragusa, vista su Ibla e Santa Maria dell'ItriaRagusa, vista su Ibla e Santa Maria dell'Itria

 

Cosa vedere a Ragusa, da Ibla alla città nuova

Per ammirare al meglio Ibla, vi consigliamo di partire dall’estremità più a est, il Giardino Ibleo, da cui potrete godere di una splendida vista sulla valle dell’Irminio. Costruito nella seconda metà dell’‘800 per iniziativa di tre facoltosi cittadini Iblei (Carmelo Arezzi di Trafiletti, Emanuele La Rocca Impellizzeri dei San Filippo e Giuseppe Maggiore, marchese di Santa Barbara), sorge su uno sperone di roccia che si affaccia sulla vallata sottostante ed è il più antico fra i 4 giardini della città. Al suo interno custodisce tre chiese: la chiesa di San Domenico (sorta nel 1509 e ricostruita nel 1728), quella di San Giacomo (1283 circa, poco toccata dal sisma), e la chiesa dei Cappuccini (1600 circa, riedificata nel 1866), che conserva il Trittico di Pietro Novelli, una delle tele più interessanti della zona. Vicino al giardino, gli scavi archeologici che hanno portato i resti dell'antica Hybla, l’arcaica colonia greca.

 

Ragusa, Giardino IbleoRagusa, Giardino Ibleo

 

Inoltrandosi nei vicoli del centro storico si possono ammirare architetture come quelle di palazzo Morelli, palazzo Diquattro, palazzo Arezzo di Donnafugata, fino ad arrivare all’insigne collegiata di San Giorgio, meglio conosciuto come il Duomo. Una delle chiese più importanti per il barocco siciliano, progettata da Rosario Gigliardi e costruita 40 anni dopo il terremoto (1739-1775) sulle fondamenta di un altro luogo di culto, la chiesa di San Nicola. Dell’antica struttura, collocata in un’altra zona di Ibla e distrutta dal sisma, rimane solo il Portale di San Giorgio, la splendida porta quattrocentesca in stile gotico-catalano.

 

Da Santa Maria dell’Itria alla Cattedrale

Una chiesa decisamente suggestiva, i cui colori si avvistano anche da lontano, è la chiesa di Santa Maria dell’Itria, che accompagna i visitatori alla scoperta di Ragusa superiore. Costruita la prima volta nel 1626 su iniziativa del barone Blandano Arezzi, non fu particolarmente toccata dal terremoto ma venne comunque ricostruita nel 1700, diventando uno dei luoghi d’arte barocca più importanti per la città. La piccola cupola ottagonale è arricchita da maioliche blu che riproducono fiori e vasi, decori molto diffusi nella Sicilia del tardo ‘600.

 

Ragusa, Duomo di San GiorgioRagusa, Duomo di San Giorgio

 

Una visita a Ragusa non può prescindere dalla sua Cattedrale, la chiesa di San Giovanni Battista. Edificata nella metà del 1200 circa, prima del sisma sorgeva nella parte ovest dell'antico abitato di Ragusa, sotto le mura del castello medievale, dove oggi si trova la chiesetta di Santa Agnese. La ricostruzione della Cattedrale è un esempio perfetto della forza di volontà e della dedizione dei ragusani: iniziata il 15 aprile del 1694, fu completata in soli 4 mesi. In stile tardo-barocco, offre ai visitatori una maestosa facciata suddivisa in 5 sezioni con altrettante colonne, ricca di intagli e sculture, un campanile settecentesco e gli orologi solari datati 1751. Sul lato sinistro svetta il campanile, che si innalza per circa cinquanta metri, con quattro campane annesse.

 

I ponti di Ragusa

Un paragrafo a parte meritano i celebri ponti di Ragusa, tutti eretti fra il 1843 e il 1964 per collegare le varie aree della Ragusa moderna, e da cui godere di viste mozzafiato sulla città.

Il primo è Ponte Vecchio, che permise di sviluppare l’area urbana verso sud, superando l'ostacolo naturale della vallata Santa Domenica. Conosciuto anche come Ponte dei Cappuccini, fu costruito su spinta del frate Gianbattista Occhipinti Scopetta (1770-1836), dell'omonima famiglia Occhipinti. Ponte Nuovo, invece, venne edificato durante il ventennio fascista, per iniziativa di Filippo Pennavaria: lungo 132 metri e largo circa 10, arriva a toccare, nel suo punto più alto, i 40 metri. È composto da quattro pilastri in cemento armato ricoperti di pietra viva (calcare duro) e da quattro arcate. Infine, il Ponte Papa Giovanni XXIII, il più recente dei tre, conosciuto anche come Ponte Nuovissimo o Ponte San Vito: un’opera a campata unica che collega il quartiere del Carmine con quello dei Cappuccini.

 

Ragusa, Cattedrale di San Giovanni Battista

 

Cucina ragusana, l’incontro fra Oriente e Occidente

Dal punto di vista gastronomico Ragusa rappresenta un luogo di incontro fra le due macro culture che hanno influenzato la Sicilia: da un lato quella orientale, con la tradizione ellenica e araba, dall’altro quella occidentale, con i lasciti dei normanni e degli svevi.

La pasta - quella preparata in casa la domenica - è uno dei piatti che fanno da collante fra le grandi famiglie ragusane, una tradizione che ha dato vita a formati e tipologie diverse. Tradizionali delle feste sono gli ‘ngallini, i ravioli ripieni conditi con un sugo di maiale, ma anche i cavati, una sorta di grandi gnocchi rigati conditi sempre con un sugo di carne,i ‘manichi ‘ fauci, i lolli e i causunedda. Altri piatti tipici sono maccheroni al forno, la pasta alla carrettiera (conditi con un sugo con l’aglio e ricotta salata), i quadrettini in brodo di gallina, in cui galleggiano delle minuscole polpette fatte con la stessa carne.

 

Cavati e 'ngalliniCavati e 'ngallini

 

Un'altra sezione importante della gastronomia ragusana è quella dei prodotti da forno, come la scaccia, tipica delle feste natalizie, una focaccia condita con broccoli, cavolfiori, olive nere, patate, tuma o caciocavallo; o la 'mpanata di agnello, una torta salata pasquale ripiena di carne d’agnello, in cui la carne viene cotta direttamente all’interno dell’impasto, diffusa anche nel siracusano. Tra i prodotti da forno anche lo sfogghiu, una millefoglie farcita con ricotta e salsiccia.

 

'mapanata di agnello'mapanata di agnello

 

Fra i secondi, un posto importante ha la carne di maiale che si può trovare sulle tavole ragusane sotto forma di costata ripiena, di salsiccia o di gelatina (la liatina), ma ci sono anche la gallina ripiena (iaddina co' cinu), la trippa alla ragusana, preparata a strati, i turcinuna (involtini di interiora di agnello marinati con prezzemolo, pepe, sale, cipolla, spezie varie) e il coniglio a partuisa, cotto con salsa di pomodoro, aceto e verdure a pezzetti come cipolla, aglio, peperoni, melanzane, carote, sedano, cuori di carciofo.

 

coniglio alla portuisaconiglio alla portuisa

 

Tra i formaggi spicca il Ragusano, un caciocavallo DOP di latte vaccino, ma qui si possono mangiare ottime ricotte, provole fresche e stagionate, tome e tomini sempre di latte vaccino, o pecorini in diverse stagionature.

 

Ragusano DOP

 

Infine il capitolo dolci, che vede in prima fila i biscotti, come i mucatoli, specialità condita con frutta secca di vario tipo, o gli affucaparrini, letteralmente “strangola preti”, biscotti duri simili ai taralli, prima lessati e poi ripassati in forno, o i più particolari impanatigghi di Modica: pasta frolla ripiena di cacao, carne di vitello tritata, zucchero, cannella e mandorle. Ma questa è zona di ricotta: quindi largo spazio è dedicato anche a cannoli ripieni, cassate, senza dimenticare torte alla frutta come quella al mandarino, pasticcini vari e, d’estate, l’immancabile ranita ‘i mennula, la granita alla mandorla dolce.

 

'mpanatigghi ragusani'mapantigghi

 

CONSIGLI DALLA GUIDA RISTORANTI D’ITALIA 2017

Caravanserraglio - La Anchoa

Un locale che “segue” i suoi clienti: d’inverno è Caravanserraglio a Ragusa, d’estate si trasferisce a Marina di Ragusa e diventa La Anchoa. Al timone c’è sempre Francesco Cassarino, patron del locale e ricercatore instancabile di materie prime di pregio. La proposta gastronomica si divide fra il menu invernale, a base di carne, e quello estivo, incentrato sul pesce, ma qui si viene anche per l’ottima pizza e per la fornita cantina, con diverse proposte anche alla mescita. Due Forchette nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

Duomo

La cucina di Ciccio Sultano parte dalla sua identità sicula per approdare a sperimentazioni, contrasti di sapori e consistenze, giochi di senso elaborati nel bel locale incastonato tra i vicoli di Ragusa Ibla, all’ombra del maestoso Duomo cittadino. Diverse le proposte di menu degustazione, dai 45 ai 190 euro con vini in abbinamento. Ottimi i dolci, sorprendenti e creativi, perfettamente in linea con la proposta della cucina. La cantina è affidata al sommelier Paolo Belluardo, mentre il servizio è magistralmente curato da Gabriella Cicero. Due Forchette nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

I Banchi

C’è sempre la mano di Ciccio Sultano, in collaborazione con Peppe Castrinnà, dietro al progetto I Banchi, bistrot gourmet e gastronomia nella suggestiva location delle scuderie di palazzo Diquattro. Un luogo dove fermarsi per fare colazione, acquistare i migliori prodotti della zona o mangiare, approfittando dei 3 menu degustazione, che hanno prezzi e piatti molto diversi fra loro, appositamente studiati per accontentare ogni esigenza. Cantina dedicata ai prodotti regionali seppur con qualche sconfinamento. Due Cocotte nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

La Fenice - Hotel Villa Carlotta

Un indirizzo lontano dalla zona più turistica e con un’evidente vocazione all’accoglienza: La Fenice nasce infatti all'interno della raffinata struttura alberghiera della famiglia Malandrino. Alla guida della cucina c'è Claudio Ruta, chef formatosi nei ristoranti più classici, ma che ha saputo dare una decisa spinta verso la contemporaneità, mettendo la tecnica al servizio delle materie prime. La sua è una cucina che valorizza ingredienti locali, anche introvabili o “dimenticati”, come il cuturro (una sorta di crusca) o i funghi di carrubo. Interessanti e creativi i dessert, così com’è ricca di spunti la cantina. A completare l’ampia offerta diverse proposte sulla degustazione, carta degli oli e delle acque. Due Forchette nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

Locanda Don Serafino

Uno spazio molto suggestivo, scavato nella roccia e ricavato dalle stalle di un palazzo nobiliare in piena Ragusa Ibla. Una location unica, quella del ristorante dei fratelli La Rosa, che si sposa perfettamente con la proposta gastronomica di Vincenzo Candiano, tutta tesa a valorizzare la tradizione siciliana. Ben costruita l’offerta sui menu degustazione, con un occhio di riguardo per i clienti più piccoli. Dolci che soddisfano sia il palato che la vista. Ampissima la cantina, con oltre mille referenze provenienti da tutto il mondo. Due Forchette nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

Tocco - Hotel Montreal

A pochi passi dalla Cattedrale e all'interno di una struttura alberghiera, il ristorante di Dario Di Liberto e Gloria Bucchieri. Lui, forte di esperienze di livello come quella al fianco di Ciccio Sultano, propone una cucina basata sulla contaminazione e sui contrasti, privilegiando materie prime di alta qualità. Lei, in sala, gestisce in maniera attenta e con grande professionalità le richieste dei clienti. Tre menu degustazione proposti a prezzi competitivi, e accurate selezioni di oli e formaggi completano l’offerta gastronomica. In cantina referenze isolane ma anche nazionali. Una Forchetta nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA PIZZERIE D’ITALIA 2017

La Rosada

Un indirizzo situato nella parte alta di Ragusa frequentato soprattutto dai residenti, che sforna pizze cotte nel forno a legna, dai cornicioni alti e soffici. La base è un mix di grano tenero e semola rimacinata, le farciture sono golose e invitanti, il prodotto finale è altamente digeribile. In menu pizze classiche, ma anche molte proposte costruite sui sapori locali, oltre ad alcuni piatti della tradizione ben eseguiti. Per completare l'offerta ottimi dolci della casa e una discreta scelta di birre e vini regionali. Uno Spicchio nell’edizione 2017 della guida Pizzerie d’Italia.

 

Le Magnolie (Modica)

A pochi chilometri da Ragusa, nel cuore del comune di Modica, Le Magnolie propone pizza napoletana dall’impasto saporito e leggero. Prodotti di qualità elevata, topping fantasiosi e l’interessante novità della pizza al metro, introdotta da poco. Ma qui si può assaggiare anche un’ottima cucina del territorio, in particolare quello dell’entroterra ibleo. Da bere una discreta selezione di birre artigianali, vini siciliani e nazionali, con una particolare attenzione ai prodotti senza solfiti aggiunti. Uno Spicchio nell’edizione 2017 della guida Pizzerie d’Italia.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA STREET FOOD 2017

Antica Dolceria Bonajuto (Modica)

Aperta dal 1880, è la cioccolateria più antica della zona. Cacao lavorato artigianalmente alla maniera azteca, ma anche cannoli ripieni, gli ‘mapgghiatini, i biscotti ripieni di carne e cacao, le nacatule, dolcetti di pasta frolla con ripieno di mandorle e fichi secchi, la cotognata. Da provare anche la linea classica, con le bellissime tavolette dalle aromatizzazioni più varie, fra cui la più famosa è quella al peperoncino.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA PASTICCERI&PASTICCERIE 2017

Caffè Sicilia

Il locale è ampio e luminoso, gli arredamenti raffinati e la graziosa veranda fruibile anche d’inverno. Tutti elementi che hanno reso famosa questa pasticceria che negli anni ha saputo mantenere inalterata la qualità dei suoi prodotti. Sul bancone diverse specialità, dalla pasticceria siciliana tradizionale alle torte creative, preparate con i prodotti del territorio, passando per i mignon e la biscotteria. D’estate granite alla mandorla e rosticceria salata. Due Torte nell’edizione 2017 della guida Pasticceri&Pasticcerie.

 

DolceSalato (Modica)

Creazioni buone ma anche d’effetto per questo indirizzo di Modica, diventato ormai un indirizzo di riferimento fra gli abitanti della cittadina barocca. Si inizia con le torte monumentali, visibili appena entrati nel locale, per passare ai semifreddi, alla piccola pasticceria e ai dessert tradizionali. Durante la bella stagione, da non perdere i coni da passeggio, vera specialità della casa. Una Torta nell’edizione 2017 della guida Pasticceri&Pasticcerie.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA BAR D’ITALIA 2017

Peccati di gola

Un caffè corposo e intenso, con sentori di spezie e cioccolata, per il locale di Peppe Cappello, punto di riferimento per i ragusani e piacevole sorpresa per i turisti. Qui si possono gustare anche ottimi lievitati mattutini, accompagnati da cappuccini vellutati e montati a dovere, o la pasticceria in formato mignon. Da provare anche le torte, sia le classiche che le creative, e i semifreddi. A Natale panettoni artigianali. Due Chicchi e Due Tazzine nell’edizione 2017 della guida Bar d’Italia.

 

Prima Classe Double Bar

Un locale polifunzionale, che modula la sua proposta gastronomica secondo gli orari e la clientela. Si parte dall’espresso, aromatico e robusto, ma ci sono anche caffè speciali come il Torinese o il Marocchino, per approdare ai lievitati e alla pasticceria classica. Si prosegue con il pranzo, con proposte della tradizione, piatti freddi e insalate, panini gourmet e tramezzini. Infine, l’aperitivo, con tante sfiziosità salate accompagnate da una lunga lista di cocktail, long drinks, vini, bollicine e birre. Due Chicchi e Due Tazzine nell’edizione 2017 della guida Bar d’Italia.

 

indirizzi

Antica Dolceria Bonajuto | Modica (RG) | corso Umberto I, 159 | tel. 0932 941225 | www.bonajuto.it

Caffè Sicilia | Ragusa | viale Sicilia, 12 | tel. 0932 682160 | www.caffesicilia.info

Caravanserraglio | Ragusa | via Pietro Nenni, 78 | tel 0932 654342 | www.facebook.com/CaravanserraglioRagusa

DolceSalato | Modica (RG) | via Risorgimento, 37 | tel. 0932 903513 | www.facebook.com/Pasticceria-DOLCESALATO-1485210278433220

Duomo | Ragusa Ibla | via Capitano Bocchieri, 31 | tel. 0932 651265 | www.cicciosultano.it/ristorante-duomo

I Banchi | Ragusa Ibla | via Orfanotrofio, 39 | tel. 0932 655000 | www.ibanchiragusa.it

La Anchoa | Marina di Ragusa (RG) | lungomare Andrea Doria, 21 | tel. 0932 230561 | www.laanchoa.it

La Fenice - Hotel Villa Carlotta | Ragusa | via Gandhi, 3 | tel. 0932 604140 | www.lafeniceristorante.com

La Rosada | Ragusa | piazza Sturzo, 6-7 | tel. 0932 604081 | www.ristorantelarosada.it

Le Magnolie | Modica (RG) | loc. Frigintini | via Gianforma 179 | tel. 0932 908136 | www.ristorantelemagnolie.it

Locanda Don Serafino | Ragusa | via Avvocato Giovanni Ottaviano | tel. 0932 248778 | www.locandadonserafino.it

Peccati di gola | Ragusa | viale Europa, 116 | tel. 0932 255569 | www.facebook.com/PeccatiDiGolaRagusa

Prima Classe Double Bar | Ragusa | via Ercolano, 7 | tel. 0932 652300 | www.facebook.com/pages/Prima-classe-double-bar-and-restaurant/248857655460908

Tocco | Ragusa | via S. Giuseppe, 14 | tel. 0932 621133 | www.ristorantetocco.com

 

 

a cura di Francesca Fiore

 

 

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Champagne. Quali progetti per le bollicine più famose al mondo?

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La flessione delle vendite nel 2016 non spaventa il distretto francese, che sta pianificando il futuro alla luce del riscaldamento globale. La concorrenza del Prosecco non sembra essere una minaccia sui mercati. Mentre il Comité studia dei vitigni resistenti e lancia il marchio unico per l'enoturismo

È l'image brillante dei francesi, come amava dire Voltaire, filosofo illuminista, nonché buongustaio. Ed è allo stesso tempo una macchina da guerra: con le sue 300 milioni di bottiglie è capace di muovere da sola un giro d'affari non troppo lontano da quello di tutto l'export italiano (4,7 miliardi di euro contro 5,6 miliardi), vanta tre secoli di storia ed è punto di riferimento assoluto per la spumantistica mondiale. La parola Champagne, un territorio e un vino allo stesso tempo, evoca eleganza, modernità, raffinatezza. Un prodotto icona, un blasone per i transalpini, che dopo aver segnato un record di vendite nel 2015, lo scorso anno ha rallentato la propria ascesa, mantenendosi tuttavia a livelli alti.

Per dirla in cifre, lo Champagne conta 34,3 mila ettari, 280.000 particelle di vigneto, 306 milioni di bottiglie, 4,7 miliardi di euro di fatturato, 15.000 viticoltori, 140 cooperative, 340 maison, 319 cru, 30.000 posti di lavoro diretti, 11 bureaux permanenti nel mondo

 

La regione dello Champagne

La Aoc Champagne è la regione viticola a 150 chilometri a est di Parigi. È suddivisa in quattro macro regioni: la Montagne de Reims, la Vallee della Marne, la Côte des Blancs e la Côte des Bar. Alla fine del XIX secolo il vigneto raggiungeva i 60 mila ettari. Un'epidemia di fillossera distrusse quasi tutto. Vigneron e maison rempiantarono i vigneti e fondarono nel 1898 l'Association viticole champenoise (Avc). Per evitare le frodi, i vigneron organizzati dal 1904 nella Federation de syndicats chiesero la delimitazione della Champagne viticola. La ottennero nel luglio 1927. Dopo una crisi dovuta alla sovrapproduzione, nel 1935 vennero fissate alcune regole produttive per mantenere alta la qualità. Un anno dopo lo Champagne ottenne la denominazione d’origine controllata (Aoc). I vitigni ammessi sono Chardonnay, Pinot nero, Meunier, Pinot bianco, Pinot grigio, Arbane, Petit meslier. Nel 1941 nasce il Comité interprofessionel (Civc), con sede Epernay.

 

Il Comité Champagne

La filiera, composta da 15 mila viticoltori su oltre 34 mila ettari, si sostiene grazie allo strumento dell'interprofessione, che consente di mediare e conciliare le esigenze delle due anime: quella dei negociant presieduta da Jean-Marie Barillère e quella dei vigneron con a capo Maxime Toubart. Al Gambero Rosso risponde il responsabile della comunicazione del Comité Champagne (l'organismo semipubblico creato proprio per gestire gli interessi comuni delle due parti), Thibaut Le Mailloux, che spiega l'andamento sui mercati, l'exploit delle vendite in Italia (+273 mila a 6,6 milioni di bottiglie) e, soprattutto, i progetti futuri di una denominazione che, da un lato, è chiamata a fare i conti ora più che mai con gli effetti del cambiamento climatico e che, dall'altro, guarda alla sostenibilità e all'enoturismo come motori economici determinanti per il territorio.

 

Vendite in volumeChampagne. Vendite in volume dal 2007 al 201 per classe d'azienda

 

Per il vostro distretto il risultato economico 2016 ha segnato il secondo più importante dal 2015, nonostante il segno meno sulle vendite quanto a volumi e valori. Gli Stati Uniti si confermano mercato principale, il Regno Unito è in calo. Come spiegate l'andamento dei due vostri grandi Paesi di riferimento?

Nel 2016, il primo mercato in valore dello Champagne è rappresentato dagli Stati Uniti e il secondo è il Regno Unito, che importa dieci milioni di bottiglie in più. Per il secondo anno consecutivo, il giro d'affari negli Stati Uniti supera quello del Regno Unito. Questo andamento si spiega con la differenza dei tassi di cambio, decisamente sfavorevole in Uk, e allo stesso tempo con un calo di volumi di questo mercato, accompagnato da una forte crescita negli Usa, sia in volume sia in valore.

 

CHAMPAGNE - VENDITE MONDIALI 2007-2016 Champagne. Vendite mondiali dal 2007 al 2016

 

Tra gli altri mercati importanti per lo Champagne ci sono Giappone e Germania. Ma nel 2016 la vera sorpresa è stata l'Italia: con un +6,4% in valore, è diventata il quinto mercato a valore, precedendo Australia e Belgio ...

L'import di Champagne in Italia si è caratterizzato per grandi variazioni sul lungo termine, ma il mercato dello Champagne qui è in continuo aumento dal 2013. L'Italia raggiunge, in effetti, la quinta posizione per quanto riguarda il volume d'affari, tra i Paesi di destinazione dei nostri vini. In Italia, la differenza tra numero di bottiglie e giro d'affari è molto ampia perché i consumatori apprezzano in modo particolare le cuvées de prestige, che moltiplicano il valore per bottiglia, in quanto sono più costose da produrre, più rare e più care: le cuvées speciali, che rappresentano l'alta gamma di ogni produttore, hanno costituito nel 2016 il 7,5% delle vendite, mentre lo Champagne rosé ha raggiunto il 6,1% sul mercato italiano. Le cuvée de prestige rappresentano il 7,5% sui volumi per un valore corrispettivo del 21,6%.

 

Anche in Francia, come in Italia, il consumo di vino è sempre più occasionale. Come sta influendo questo fenomeno sulle vendite di Champagne nel mercato interno?

Non disponiamo di numeri sulla frequenza di consumo di Champagne in Francia. Possiamo notare che, nel complesso, nel nostro Paese, lo Champagne arretra lentamente in volume, ma i francesi proseguono nella tendenza a scegliere prodotti più costosi. Il volume d'affari in Francia nel 2016 è sceso dello 0,4% a fronte di un -2,5% in quantità.

 

Il Prosecco italiano sta attraversando un periodo molto positivo. E anche la Francia sta chiedendo più Prosecco rispetto agli anni precedenti. Lo Champagne teme questa concorrenza?

Lo Champagne non rappresenta che il 10% circa della produzione mondiale di vini effervescenti. L'Aoc Champagne, per quanto riguarda le superfici vitate, è strettamente delimitata e totalmente impiantata: non resta che un piccolissimo potenziale produttivo supplementare, in un contesto in cui le rese si stanno riducendo per via dei cambiamenti climatici e soprattutto per lo sviluppo della viticoltura sostenibile, che ha come conseguenza un calo dei volumi di uve in vendemmia di circa il 15%. In questo contesto, la Champagne, che ha conosciuto circa cinquant'anni di crescita in volume (1950-2000) durante la fase di reimpianto dei vigneti, decimati dalle crisi e dalle guerre, e durante lo sviluppo dei consumi in Francia, è destinata a vedere decrescere la propria quota di mercato in volume. Ecco perché è importante che valorizzi i suoi trecento anni di storia e la propria eccellenza tecnica per rimanere il punto di riferimento assoluto dei vini effervescenti. Non solo: mentre numerosi vini spumanti di diverse regioni mondiali si sono sviluppati, anche in quei mercati considerati tradizionali per lo Champagne, il nostro vino ha proseguito comunque la sua crescita.

 

Nel luglio 2015, il vostro territorio è entrato nel patrimonio dell'Unesco. Cosa è cambiato dal punto di vista delle presenze turistiche?

L'iscrizione di Coteaux, Maisons e Caves de Champagne nel patrimonio mondiale Unesco ha, senza dubbio, accelerato lo sviluppo dell'enoturismo. Gli abitanti di questa regione lavorano a stretto contatto con le istituzioni locali che si occupano di turismo. Dal canto suo, il Comité ha investito risorse in una campagna televisiva a livello nazionale che mette in primo piano il turismo nelle regioni viticole francesi e, in passato, ha utilizzato diversi strumenti di comunicazione - in particolare un episodio della serie web "Terre de Champagne", o ancora il sostegno alla serie tv di genere poliziesco "Le sang dei la vigne", girata proprio in Champagne - per dimostrare il potenziale enoturistico del nostro territorio. Assieme alle istituzioni locali, è in fase di lancio il nostro marchio enoturistico, che servirà a spiegare meglio il posizionamento della Champagne tra le destinazioni enoturistiche e per consentire di fare promozione all'estero. Il motto sarà: "La Champagne, refined art de vivre".

 

Ogni anno il Comité spende 6 milioni di euro per proteggere la Aoc dalle imitazioni. Alcuni risultati importanti sono arrivati in Cina, India e Brasile. Quali sono ancora i mercati in cui oggi è difficile applicare una tutela efficace?

Nel concreto, la denominazione Champagne è riconosciuta come indicazione geografica ed è protetta dalla legge in India, in Brasile come in Cina. In Cina, in particolare, è la stessa amministrazione cinese a informare il Comité in merito ai casi di usurpazione del marchio, a episodi di contraffazione, che puntualmente vengono contrastati. La protezione della nostra denominazione deve essere ancora stabilita da regolamenti e leggi soprattutto in Argentina, Russia e Stati Uniti. Quest'ultimo mercato è il più problematico, essendo il primo per le nostre esportazioni a valore, dal momento che proprio qui la metà delle bottiglie dei vini effervescenti prodotti a livello locale reca le menzioni American Champagne o California Champagne, che ovviamente non sono Champagne e costituiscono un evidente inganno nei confronti dei consumatori.

 

Da un punto di vista ambientale, il Comité ha al suo interno una commissione tecnica che si occupa di ricerca, sperimentazione e sviluppo. Quali sono i progetti su cui state lavorando?

Il futuro del nostro marchio si gioca in effetti sia sul servizio tecnico e ambientale offerto dal Comité Champagne, sia all'interno di ciascuna delle aziende viticole e delle maison della denominazione. All'interno del Comité, gli ingegneri e i tecnici costituiscono circa la metà del personale (circa 50 addetti): hanno a disposizione due vigneti sperimentali, una cantina di vinificazione, un laboratorio e, ovviamente, una cantina di affinamento. Il loro lavoro si concentra sulla viticoltura, l'enologia e lo sviluppo sostenibile con finalità di ricerca applicata in funzione dell'eccellenza dei nostri vini, così come per il futuro della Champagne e, nondimeno, dello stile Champagne.

 

Può dirci qualche progetto su cui state lavorando?

Una delle più recenti decisioni è stata il lancio di un progetto di ricerca della durata di 15 anni, destinato a creare nuove varietà di uve attraverso l'ibridazione tradizionale – impollinazione - partendo dalle varietà meunier, chardonnay e pinot nero, in modo da preservare lo stile Champagne nell'ambito di un clima in rapida evoluzione. Questi vitigni del futuro dovranno in effetti maturare più lentamente, conservare un'alta acidità a fronte di un clima più caldo, ma allo stesso tempo avere la capacità di resistere naturalmente a oidio e peronospora, in modo da continuare a favorire la riduzione dell'uso di prodotti fitosanitari. Questi sono stati dimezzati in quindici anni e oggi il 50% della nostra raccolta è certificata come biologica.

 

È questo il futuro del vostro prestigioso distretto?

Questa attenzione a mantenere sul lungo periodo una produzione di Champagne nel solco dello stile tipico della denominazione, tutelando e preservando il territorio, è certamente la strada per lo sviluppo globale della Champagne da un punto di vista produttivo.

 

Che consiglio darebbe a chi intende conoscere meglio la vostra denominazione e il suo territorio? Da dove è meglio partire?

La cosa migliore da fare è cominciare da www.champagne.com, un centro di informazioni e un'enciclopedia dello Champagne, con una mediateca che propone strumenti educativi (flipbook sull'elaborazione dello Champagne e sulla sua degustazione, le carte degli aromi, le schede di degustazione) e anche dal canale www.youtube.com/Champagne, in particolare dalla serie video-educativa Terre de Champagne. Il sito di e-learning www.champagnecampus.come la applicazione per telefoni cellulari Champagne Campusdanno la possibilità di mettere alla prova le proprie conoscenze e consentono di saperne di più. Non resta, poi, che venire in Champagne e scoprire sul campo la produzione delle uve, l'elaborazione dei vini, visitando vigneron e maison, che si stanno attrezzando sempre di più nello sviluppo di strutture d'accoglienza al pubblico: camere e bed and breakfast, strutture agrituristiche, musei sullo Champagne. Bisonga venire da noi anche per scoprire il patrimonio storico-culturale della nostra regione, nata tre secoli fa, e per capire in che modo lo Champagne si sia diffuso in tutto il mondo.

 

 

 

a cura di Gianluca Atzeni

 

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 20 aprile 2017

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Champagne. Vendite in volume dal 2007 al 201 per classe d'azienda

 
 

Milano Food City 2017. Il programma del Fuorisalone del cibo dal 4 all'11 maggio

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Si avvicina l'appuntamento con la prima edizione del festival diffuso che prenderà vita in occasione di Tuttofood coinvolgendo l'intera città, sul modello collaudato del Fuorisalone meneghino, ma pure attento alle tematiche tracciate da Expo. Le principali iniziative. 

Il primo Fuorisalone del cibo

Comune e Camera di Commercio ancora una volta insieme, dopo Expo 2015. Tra pochi giorni la città sarà chiamata a una nuova prova: supportare il gran numero di appuntamenti e iniziative a tema gastronomico che confluiranno dentro al contenitore di quella che è stata ribattezzata Milano Food City, alla sua prima edizione. Ancora una volta un evento diffuso, una manifestazione collaterale al salone di Tuttofood, di stanza alla Fiera Milano dall'8 all'11 maggio per accogliere circa 80mila operatori di settore, di cui 30mila stranieri. E in partnership con Seeds&Chips, il summit dell'innovazione alimentare che quest'anno darà voce persino a Barack Obama. Ma la festa vera, quella che molti considerano il primo Fuorisalone del cibo di Milano, animerà i distretti del capoluogo lombardo per un'intera settimana, dal 4 all'11 maggio, con tanto di cerimonia inaugurale in programma per la serata del 3 maggio, tra installazioni, musica e un percorso sensoriale dedicato alla cultura alimentare. All'iniziativa, come la città ci ha abituato in passato, prenderanno parte tanti esercenti: molti sono i ristoranti che proporranno menu speciali per celebrare la tradizione milanese, altrettanti i locali coinvolti nell'organizzazione di feste e appuntamenti in notturna, fino alle prime luci dell'alba. E intanto una prima traccia per orientarsi nel ricchissimo calendario di appuntamenti in programma arriva dalla mappa che individua le principali macrosezioni tematiche del festival, tra Porta Venezia, Arco della Pace, Palazzo Bovara, il Capac, la Fondazione Feltrinelli, Porta Nuova e Tortona.

 

I temi. Dal caffè alla pizza, ai prodotti della terra

Su corso Venezia, Palazzo Bovara sarà il cuore di FoodFriends, con un cluster dedicato a spezie e caffè, dalle 11 alle 19 per un cocktail a base di caffè, i laboratori su monorigine e miscele, il mini corso sull'utilizzo corretto della moka, la gara amatoriale del caffè, la cucina con le spezie in abbinamento ai caffè delle torrefazioni coinvolte di Miriam Bocchetta. Uno spazio che, dunque, intercetta, uno dei trend più in voga a Milano sul territorio nazionale, che sta lentamente riscoprendo un altro modo di consumare e apprezzare il (i) caffè. Al Capac di viale Murillo, invece, c'è spazio per la pizza, dall'8 al 10 maggio, dalle 18 alle 22, degustazioni di focaccia e pizza gourmet, lezioni amatoriali, showcooking e laboratori per bambini. E il 9 si parla di materie prime e lievitazione durante il seminario in collaborazione con la Fondazione Veronesi. Ai Caselli Daziari di Porta Venezia, per tutta la durata della manifestazione, i protagonisti saranno i “mercanti” e gli artigiani del cibo, ognuno con un giorno dedicato: macellai, panettieri, erboristi, enoteche, fruttivendoli, con degustazioni, masterclass, mostre a tema gastronomico. Mentre Palazzo Giureconsulti ospiterà la Festa del Bio, il 6 maggio, con talk di approfondimento scientifico in compagnia di produttori, giornalisti e consumatori.

 

Festa in tutta la città. Paolo Sarpi, i mercati, la Fondazione Feltrinelli

Ma ogni distretto porterà il suo contributo. In via Marghera il 10 maggio i ristoratori del quartiere animeranno la tavolata in strada, con percorsi degustativi tra botteghe e attività alimentari aperte fino alle 22; via Pier della Francesca, dall'8 all'11 del mese, proporrà circa 90 attività con produttori locali e in arrivo dall'Umbria, per l'iniziativa Solidarietà con Castelluccio di Norcia. E in via Paolo Sarpi, cuore della china town meneghina, c'è Sa(r)pore, un percorso tra le botteghe storiche e le nuove insegne street food, dall'8 all'11 maggio. Tra i mercati rionali partecipano la struttura di via Wagner, con aperture fino alla mezzanotte per degustazioni di formaggi, salumi, pane, e il mercato di Morsenchio, con un contest dedicato al barbecue (il 6 maggio, dalle 10 alle 24). Ma anche il Mercato del Suffragio, che dal 4 al 12 maggio ospiterà la rassegna cinematografica Food Wanted: Gastronomic Adventure (ne riparleremo presto). Di altro genere gli incontri ospitati dalla Fondazione Feltrinelli di Porta Volta, con dibattiti sulla sostenibilità alimentare e il diritto al cibo, e il coinvolgimento di tante personalità di settore, ma anche reading e dialoghi intorno al cibo (da Simonetta Agnello Hornby a Lella Costa), proiezioni, attività per bambini, e una mostra fotografica Food for All!, visitabile per l'intera settimana dalle 10 alle 21.

 

Chef e cucina d'autore. Taste e Italian Gourmet

In contemporanea prenderanno vita anche il Taste Festival al The Mall (dal 4 al 7 maggio, qui protagonisti e programma) e la prima edizione di Italian Gourmet al Superstudio Più di via Tortona, dal 6 al 10 maggio, con 17 chef italiani per offrire un viaggio nell'alta cucina. Quattro le aree tematiche: Chef a porter, con i finger d'autore in degustazione, l'Arena del cibo per masterclass e showcooking, l'Agorà degli incontri (sul palco anche Enrico Bartolini, Iginio Massari, Davide Oldani), il Mercato delle eccellenze dedicato ai produttori (ingresso 15 euro).

 

Milano Food City 2017 | Milano | dal 4 all'11 maggio | Il programma completo degli appuntamenti (in aggiornamento)

 

a cura di Livia Montagnoli

Apre a New York Made Nice. Il fast food di Daniel Humm e Will Guidara

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Dalla vetta della World's 50 Best – per Eleven Madison Park, che a breve chiuderà per ristrutturazione – al locale informale a prezzi contenuti che tutti a New York stavano aspettando. Ecco cosa si mangia da Made Nice. 

Il fast food di Daniel Humm

11 dollari per un piatto di Daniel Humm. Non è il sogno proibito di qualche squattrinato, ma incallito gourmet. Almeno non più. Piuttosto un desiderio che diventa realtà, e certo non seduti alla tavola dell'Eleven Madison Park, da qualche settimana primo ristorante del mondo a parere degli eminenti giurati della World's 50 Best Restaurants, che tra le classifiche gastronomiche influenza più di ogni altra le sorti della ristorazione mondiale. Lì, all'11 di Madison Avenue, Flatiron District, New York, la cifra da spendere per arrivare in fondo al menu degustazione si aggira sui 295 dollari a persona, vini esclusi. Ma cambia tutto da Made Nice, il concept informale e divertito perfezionato da Humm e Guidara nell'ultimo anno (se ne parla dalla fine del 2015), perfettamente in linea con la moda che sembra aver conquistato un po' tutti, tra gli chef d'alto rango, e non solo a New York: guidare una brigata impeccabile tra le mura di un tempio dell'alta cucina non è più sufficiente per placare il sacro fuoco dell'arte gastronomica? Inventa un format brillante, mantieni inalterata la qualità abbattendo i costi, apri le porte a una clientela eterogenea e smaniosa di sperimentare per la prima volta una tavola d'autore... E il gioco è fatto. Uno “scherzo” che nella pratica non è solo esercizio di stile, ma opportunità per conquistare nuove fasce di mercato, diversificando il business, e che solo per restare nella Grande Mela ha visto scendere in campo David Chang e Enrique Olvera, Daniel Boulud, Mark Ladner e (proprio in questi giorni) Wylie Dufresne. Ognuno con il suo approccio, ognuno con un'idea differente di cosa significhi fare ristorazione per tutte le tasche.

Cosa si mangia da Made Nice

Da Made Nice, operativo da un paio di giorni al numero 8 West della 28esima strada (ma solo a pranzo, dalla prossima settimana si comincia con la cena), si intende limitare l'attesa e servire una cucina ispirata ai cult dell'Eleven Madison Park e del The NoMad, a un prezzo compreso tra gli 11 e i 15 dollari a portata. Quindi testare su scala inedita quell'accoppiata tra servizio efficiente e ottima cucina che ha fatto la fortuna dell'EMP. Come impeccabile è l'impiattamento, pensato per sopportare le esigenze di un pranzo volante e d'asporto, ma non per questo meno curato. Dalla cucina, guidata da Danny DiStefano (in arrivo dalla brigata di Humm), escono piatti nutrienti, salutari e golosi, che reinterpretano le proposte della casa madre assecondando la formula del piatto unico: c'è il curry di cavolfiore, arricchito con lemongrass, latte di cocco, mandorle e presentato su un letto di cous cous all'uvetta; e l'insalata di salmone affumicato con cipolle, cetrioli, ravanelli, uova sode e vinagreitte al burro (all'Eleven era previsto anche il caviale). Con l'aggiunta di crostino/rosti di patate. O la spalla di maiale arrosto, con insalata di grano, carote e foglie di cavolo aggiunte all'ultimo secondo. E poi Chicken Avocado, falafel di quinoa, merluzzo alla provenzale. Tecnica e gusto per servire, “il cibo che noi chef vorremmo mangiare” ha confermato DiStefano.

Gli ordini viaggiano tramite iPad, due camerieri attendono i clienti all'entrata, per agevolare e velocizzare le pratiche (e si paga solo con carta): il cibo, da consumare sul posto (34 i coperti in sala) o a portar via in confezioni colorate con la ricetta stampata sul retro, dev'essere pronto in cinque minuti.

 

Made Nice | New York | 8 West 28thstreet | www.madenicenyc.com

 

a cura di Livia Montagnoli

Il Rum è Servito. Ron Zacapa e Gambero Rosso in Puglia: le cene a La Bul e Già Sotto l'Arco

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Bari e Carovigno sono le prossime tappe del tour itinerante di Ron Zacapa, all'insegna dell'insolito abbinamento a tutto pasto con il rum guatemalteco. A raccogliere la sfida Antonio Scalera e Teresa Buongiorno. I menu delle serate. 

Il mese di maggio per Il Rum è Servito inizia all'insegna della ristorazione d'autore pugliese. L'iniziativa itinerante che celebra il rum guatemalteco di Ron Zacapa coniugandolo alle creazioni degli chef più originali della Penisola prosegue così dritta versa la conclusione della quinta edizione, che si chiuderà alle fine del mese a Bolzano. In collaborazione con Gambero Rosso, che per l'occasione seleziona le insegne e gli chef ospiti della manifestazione, Zacapa si muove da Nord a Sud (e ritorno) per soddisfare la curiosità di un pubblico eterogeneo, gli appassionati di rum, come gli abituee delle tavole gourmet che vogliono sperimentare un'esperienza gastronomica fuori dal comune. Tre le varianti della gamma Zacapa in abbinamento a tutto pasto con i menu degustazione proposti dagli chef, chiamati a valorizzare per concordanza o contrasto il bouquet aromatico del rum. Il 2 maggio sarà Antonio Scalera, chef de La Bul di Bari, a cimentarsi con la sfida, forte di una solida tecnica e tante esperienze internazionali, con tanto mare e ingredienti del territorio in tavola:

 

Sgombro affumicato in casa, confettura e gelee di friggitelli

Zacapa 23 yo

 

Risotto caciocavallo e pepe, polvere di olive leccine e olio ai sivoni

Zacapa Edicion Negra

 

Cefalo in olio cottura, mostarda di arance amare

Zacapa Edicion Negra

 

La nostra piccola pasticceria

Zacapa XO

 

Scendendo verso la provincia di Brindisi, in vista del Salento e di Carovigno, la nona cena del tour prenderà luogo il 6 maggio da Già Sotto l'Arco, per sperimentare la cucina di Teresa Buongiorno (in sala Teodosio e Antonella, per un'autentica gestione familiare). Ancora mare, ma soprattutto tanta cucina dell'entroterra pugliese, con un sontuoso maialino glassato accompagnato da patate, mele e cannella:

 

Capesante con riduzione di marsala e aglio nero

Zacapa 23 yo

 

Risotto bianco con petto d’anatra al ginepro e timo

Zacapa Edicion Negra

 

Maialino glassato con patata arrosto mela e cannella

Zacapa Edicion Negra

 

Mousse al cioccolato extra amaro 70% peperoncino e salsa ai frutti di bosco

Zacapa XO

 

Le prenotazioni si effettuano direttamente ai recapiti dei ristoranti.

 

La Bul | Bari | via Pasquale Villari, 52 | tel. 080 5230576 | www.ristorantelabul.com

Già Sotto l'Arco | Carovigno (BR) | Corso Vittorio Emanuele, 71 | tel. 083 1996286 | www.giasottolarco.it

 

Le cene in programma de Il Rum è Servito

 

Dove comprare Frutta e verdura a Roma. 18 ortolani raccomandati dagli chef

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Banchi dei mercati, aziende agricole, botteghe di selezionatori. Dove comprare frutta e verdura di qualità a Roma? Abbiamo chiesto consiglio ai ristoratori.

Dove acquistare frutta e verdura di qualità? Nelle città il legame con la campagna sembra assottigliarsi sempre più, ma a Roma non mancano buoni indirizzi di riferimento, e non solo selezionatori, ma anche produttori, anche perché, a volte non ci si pensa, Roma è sul podio dei più grandi comuni agricoli d'Europa. Può infatti contare su un'area verde a ridosso del centro urbano di incredibile estensione, inoltre la Capitale è un punto di attrazione per l'area agricola dei Castelli Romani e dell'Agro Pontino. Dunque non stupitevi se a ben cercare, incappate in prodotti made in Rome, coltivati proprio dentro allo sconfinato territorio comunale.

Nell'innegabile proliferare di negozietti di frutta e verdura di dubbia provenienza, aperti fino a tarda notte, dove pomodori e mele plasticose sostano accanto a birre industriali e detersivi, resistono e nascono attività che puntano tutto sulla selezione accurata di ortofrutta biologico e biodinamico, piccolissime produzioni, erbe spontanee e varietà di ortaggi quasi scomparse. Un patrimonio che sembra contrastare - forse con più energia di quanto visto a Milano - l'appiattimento dell'offerta su qualità scadenti e sapori standardizzati. Per conoscere i migliori ortolani cittadini, abbiamo chiesto consiglio agli addetti ai lavori.

 

Er Cimotto

Da noi, e lo dico con orgoglio, gran parte dei fornitori sono gli stessi tra Glass e Romeo” spiega Cristina Bowerman. I due locali, sepur diversi, condividono – tra le altre cose – la selezione curatissima delle materie prime e l'attenzione per le varie scelte alimentari, con menu vegetariani. La verdura è un prodotto delicato, capace di fare la differenza, ma che perde freschezza velocemente. “La spesa per l'ortofrutta è la seconda voce del nostro food cost” continua. E infatti elenca, uno dietro l'altro, diversi fornitori. Da quello conosciuto ai tempi de “vecchio” Romeo, in Prati, al Mercato Cola di Rienzo, Fortunato Longino, con cui lavora ancora oggi che il locale di Prati si è trasferito a piazza dell'Emporio, ai banchi del Mercato Testaccio, primo tra tutti Delizie di Frutta e Verdura, un'attività familiare (due sorelle, il cognato e la mamma) che conta su produttori da cui si rifornisce direttamente, senza passare per i mercati generali “una cosa ormai rara” aggiunge la chef. Sempre al Mercato Testaccio c'è Cogoni, famoso per i carciofi: “gira per tutta l'area del Mediterraneo seguendo il clima più adatto per i carciofi”. Cristina lo ha scelto per Romeo. Solo per Glass invece il Cimotto a Trastevere. Poi per tuberi e germogli, prodotti come rape rosse, radici di prezzemolo, crescioni, rucola selvatica e foglie di mostarde si fornisce da Harald Gasser di Aspinger della provincia di Bolzano. “È bravissimo” racconta la chef “uno che parla con le piante e che ha prodotti incredibili”. E pare che stia facendo proseliti anche a Roma.

Mercato dell'Unità | Roma | via Cola di Rienzo, 245

Mercato Testaccio | Roma | via Franklin, via Manuzio, via Galvani e via Ghiberti

Er Cimotto | Roma | piazza S. Giovanni della Malva, 6 | tel. 06 5806460 | www.frutteriaercimotto.it

Aspinger | Harald Gasser & Petra Ottavi | Barbiano (BZ) | Saubach 29 | tel. 335 7085311 | http://www.aspinger.com/it/

Glass Hostaria | Roma | vicolo del Cinque, 58 | tel. 06 58335903 | www.glass-restaurant.it

Romeo | Roma | piazza dell'Emporio, 28 | tel. 06 32110120 | www.romeo.roma.it

 

Etna Frutta

Siciliano ormai adottato a Roma, Mario Sansone è uno dei patron di Marzapane, il bel locale in zona piazza Fiume che vede in cucina Alba Esteve Ruiz e in sala Michel Magoni. E richiama la Trinacria anche il loro fornitore di ortofrutta, Etna Frutta,  che si trova a via della Maglianella. “Sono due sorelle siciliane, Giuliana e Alice, che hanno proseguito l'attività di famiglia” spiega, e continua: “il loro è un negozio all'ingrosso che però ha all'interno anche un banco per la vendita al dettaglio, quindi aperto a tutti”. Selezionano prodotti siciliani, soprattutto, ma non solo, perché attingono anche all'Agro Pontino. “Lavoriamo con loro da quando abbiamo aperto” racconta Mario “e sono molto brave, tant'è che da quando le abbiamo fatte conoscere a qualche collega ristoratore, hanno iniziato a lavorare anche con loro”.

Etna Frutta | Roma | via della Maglianella, 231 | tel. 06 61561063| http://www.etnafrutta.com/

Marzapane | Roma | via Velletri, 39 | tel. 06 64781692 | http://www.marzapaneroma.com/

 

Mercato di Campo de' Fiori – Massimo Leonardo

Preferiamo andare al mercato, perché ci garantisce qualità, prodotti autentici e freschi” inizia così Emanuele Cozzo in forza a quel Bistrot 64 che ha in cucina Kotaro Noda. “Abbiamo anche qualche fornitore, ovviamente, e alcuni negozi specializzati cui ci rivolgiamo soprattutto se abbiamo bisogno di qualcosa in particolare, ma per lo più andiamo al mercato”. Quello di Campo de Fiori, per esempio. “Ci riforniamo da Massimo Leonardo per tutto quello che riguarda le verdure: cicoria, erbe spontanee, cavolo nero, rape, bietole, cime di rapa, broccoletto romano. Non va ai mercati generali, ma lavora prodotti coltivati da lui o raccolti vicino Roma. Ovviamente l'offerta cambia molto secondo le stagioni e i giorni”. In alternativa vanno anche al Mercato di via Guido Reni, proprio a un passo dal loro ristorante.

Mercato di Campo de Fiori | Roma | piazza Campo de' Fiori 

Bistrot 64 | Roma | via Giuseppe Calderini, 64 | tel. 06 323 5531 | http://www.bistrot64.it/

 

Mercato di Campo de' Fiori – Claudio Zampa

Non abbiamo un solo fornitore” spiega Alessandro Miocchi, uno dei due chef dl laboratorio gourmet Retrobottega con Giuseppe Lo Iudice.Per lo più ci riforniamo direttamente da produttori fuori Roma, come per esempio Montoro Erbe, a Sarno. Da loro prendiamo erbe spontanee e coltivate, diversi tipi di ortaggi e frutti”. Ma per soddisfare le esigenze di un locale piccolo nelle dimensioni ma ampio nella proposta che cambia praticamente ogni mese non si rivolgono a un solo indirizzo. “A Roma un punto di riferimento è Claudio Zampa di Campo de Fiori, che ha sempre cose belle”. Per esempio? “Per il menu di questo mese prendiamo ortiche, zucchine bomba e zucchine gialle, le bietoline con la radice rossastra che arrivano perfettamente integre e curatissime, ha sempre ottime primizie di stagione, le fragole che ha ora sono bellissime e molto buone”.

Mercato di Campo de Fiori | Roma | piazza Campo de' Fiori 

Retrobottega | Roma | Via della Stelletta, 4 | tel. 06 68136310 | http://www.retro-bottega.com/

 

Mercato del Celio - Maurizio Farina

A raccontare un lavoro fatto di stretta sinergia tra orto e cucina è Fabio Pecelli, nuovo chef del Caffè Propaganda di Roma, che si appresta a vivere una seconda vita: fresco di restyling degli ambienti, con aree separate per il bar affidato al nar manager Patrick Pistolesi e al bartender Livio Morena, e il ristorante dove opera Pecelli. A lui il compito di mette a segno una cucina capace di girare con disinvoltura tra sapori e preparazioni familiari e quel tanto di avanguardia che sa incuriosire senza disorientare. Con un mix di immediatezza e originalità che si rinnova i piatti godibili e riconoscibili. Per le esigenze della cucina del bel locale a un passo dal Colosseo, e a breve per gli altri indirizzi del gruppo (Litro e Madeleine), i proprietari Maurizio Bistocchi, Daniele Quattrini ed Edoardo Caracciolo, hanno allestito un orto biodinamico a Monterotondo con tanto di serra per microverdure, germogli e misticanze. Da lì arriverà, appena sarà a pieno ritmo, il 90% dei prodotti impiegati in cucina. “Abbiamo così abbattuto i passaggi intermedi tra produttore e cucina, con tutte le difficoltà che comportano”. È una piccola azienda “al momento conta due o tre persone tra lavoro della terra, serre, raccolto, consegna”. Da lì arriverà tutto: “Ancora ci vorranno 3 o 4 mesi per essere a regime con i raccolti e i muovi impianti, ma già tra circa 15 giorni ci saranno le mele cotogne e poi ciliegie, pesche e altra frutta di stagione”. Ora molte delle erbe arrivano da lì: “dalle ortiche alla borragine alle erbe spontanee, e la clientela capisce che è di fronte a un prodotto buono”. Ma quel che non arriva dall'orto di Monterotondo viene preso dal mercato del Celio, a un passo. “C'è un bellissimo banco, al mercato qui vicino. È quello di Maurizio Farina. Lui acquista da piccoli produttori e ha cose bellissime: patate viola italiane, tenerumi, misticanza”. Prodotti dimenticati e altre rarità, spesso biologiche, sempre per coltivate.

Mercato del Celio | Roma | via SS. Quattro

Caffè Propaganda | Roma | via Claudia, 15 | tel. 06 94534255 | http://www.caffepropaganda.it/

 

Mercato di Piazza dei Visconti – I Sapori di Alessio

L'ordine lo fanno la sera e la mattina passano a ritirarlo, andando direttamente al mercato di piazza dei Visconti e via dei Gonzaga. Così, con l'occasione, vedono se ci sono anche altre verdure che risvegliano il loro interesse. Così i Gargioli (Claudio e suo fratello Fabrizio, Fabiana e Maria Chiara, figlie di Claudio) ogni mattina prima di aprire Armando al Pantheon passano a ritirare la loro spesa, proprio come si faceva un tempo per il fabbisogno di casa. Quali i banchi da cui si riforniscono? “Uno è quello di Alessio Appolloni. Bravissimo” dice Fabiana Gargioli “ha un sacco di cose molto buone che coltiva lui”. Da Alessio prende tutte le verdure stagionali: “agretti, piselli, carote, misticanze, erbette selvatiche, radicchio”. E poi c'è anche Augusto al banco di fronte, da cui prendono soprattutto la frutta, “anche lui ha una parte di prodotti coltivati dal fratello”.

Mercato di piazza dei Visconti | Roma | via dei Gonzaga | Azienda Agricola I sapori di Alessio | Roma | Santa Maria di Galeria

Armando al Pantheon | Roma | Salita de' Crescemzi | tel. 06 68803034 | https://www.facebook.com/armandoalpantheon/

 

Mercato del Pigneto – Wanda e Francesco Mazzoni

Per me è semplice: sia per Primo che per Rosti faccio tutto con un banco del Pigneto, quello di Wanda Francesco Mazzoni” dice Marco Gallotta. Il banco è uno dei primi che si incontrano venendo dal locale di Gallotta, ed è lì ogni giorno, escluso il lunedì. Hanno alcuni prodotti dell'azienda Iacchelli, ai Castelli, ma soprattutto ortaggi coltivati da loro a Fondi. Prodotti stagionali: piselli, fave asparagi broccoletti: “sono tutti molto buoni. Ovviamente niente fuori stagione, ma hanno molte cose. In più” aggiunge“soprattutto su quel che coltivano loro, che è buonissimo, il prezzo è controllato perché si saltano passaggi e intermediari”. Una scelta che è perfettamente coerente con il lavoro che, di anno in anno, Marco e il suo team stanno portando avanti nei loro locali, di stretta collaborazione con allevatori e produttori.

Mercato del Pigneto | Roma | via del Pigneto

Primo al Pigneto | Roma | via del Pigneto, 46 | tel. 06 7013827 | http://www.primoalpigneto.it/

Rosti | Roma | Via Bartolomeo D’Alviano 65 | tel. 06 2752608 |http://www.rostialpigneto.it/

 

Mercato di Ponte Milvio – Silvana e Ornella

Nel suo locale fa cucina di tradizione ma con qualcosa in più come suggerisce il nome: Lo'Steria. Qui Luca Ogliotti, chef e patron insieme al fratello, elabora una proposta di chiara matrice romana, rinnovata da competenze e sensibilità contemporanee. Per questo, alla base ci sono materie prime scelte con attenzione. Per la verdura si rivolge al vicino mercato di Ponte Milvio, da Silvana e Ornella. Madre e figlia, “originarie della zona di Cerveteri” racconta Luca “la maggior parte dei prodotti vengono dalla lì”. Alcuni li coltivano loro “Per esempio i i carciofi che sono il loro il loro pezzo forte”. Ma Luca prende tutto da loro: “dagli odori alle verdure di stagione, broccoletti in inverno, asparagi selvatici in primavera. E poi hanno una misticanza spaziale”. Per la frutta invece? “Ci spostiamo al banco accanto, che è del cugino. Hanno sempre frutta di stagione, ovviamente ne lavoriamo più in primavera ed estate, ed è molto buona”.

Mercato di Ponte Milvio | Roma | via Riano 15 

Lo'Steria | Via dei Prati della Farnesina, 61| tel. 06 33218749 | http://www.lo-steria.it/

 

Mercato Latino – Catà Giordano

Come per altre materie prime che impiegano nel loro ristorante, Alessandra Viscardi e Marco Mattana - artefici, con Francesco Romanazzi, di Epiro - scelgono le verdure dal mercato proprio di fronte al loro ristorante. Per i formaggi si rivolgono a Francesco Loreti e per la carne ad Alessandro Giovannini. “Per quanto riguarda le verdure il nostro fornitore è Catà Giordano”. Suoi gli ortaggi della magnifica vignarola che accompagna in questi giorni i raviolini cacio e pepe al vapore insieme al tenerume di zucchine. Un altro indirizzo cui si rivolgono è L'Orto di Clapi di Campagnano “lavorano con la permacoltura”. Non basta: da pochissimo hanno preso in affitto un terreno “un piccolo orto urbano all'interno di un'azienda biologica appena fuori dal Grande Raccordo Anulare, sulla Laurentina”. Lo lavoreranno loro stessi, alternandosi al mattino. “È impostato come un orto sinergico, dunque avremo tanti prodotti diversi: roveja come legume, nasturzio e shizo, pomodori di tantissimi tipi, peperoncini, fragoline di bosco e molto altro”.

Mercato Latino | Roma | piazza Epiro

L'orto di Clapi | Campagnano | strada Valle La Merla | tel. 340 3981163

Epiro | Roma | piazza Epiro, 25 | tel. 06 69317603 | https://www.facebook.com/trattoriaepiro

 

 

Mercato Testaccio – Stefano Cogoni

Per la frutta e la verdura vado a Mercato di Testaccio, da Stefano Cogonidice Arcangelo Dandini, chef e patron de L'Arcangelo del quartiere Prati. “Io da Stefano prendo tutte le erbe spontanee: lui ha trovato un suo canale con tre o quattro conferitori ai Castelli Romani, sono persone spesso di una certa età che continuano la tradizione dei raccoglitori di erbe”. Tra i prodotti, quasi sempre stagionali e di brevissima durata, cose come “caccialepri, cicoretta selvatica, tarassaco”. Non solo. “Lui e il fratello sono specializzati in carciofi, che hanno quasi tutto l'anno, perché lavorano diverse varietà, per esempio il cimarolo rosso, il violetto, il Cerveteri che è il più spontaneo che c'è ma è molto incostante”. E poi fragole, patate e pomodori, con una selezione incredibile, di altissima qualità. “Per esempio i Pachino, se si assaggiano in batteria con altri dello stesso tipo si riconoscono subito”. Per l'insalata di erbe amare di Supplizio, invece? “Vado da Silvia, anche lei al Mercato di Testaccio, accanto al Food Box di Marco Morello”.

Mercato di Testaccio | Roma | via Franklin, via Manuzio, via Galvani e via Ghiberti |  http://www.mercatoditestaccio.it/

L'Arcangelo | Roma | Via Giuseppe Gioacchino Belli, 59 | tel. 06 3210992 | https://www.larcangelo.com/

Supplizio | Roma | via dei Banchi Vecchi 143 | tel. 06 8987 1920 | http://www.supplizioroma.it/

 

L'Orto di Clapi

Nel suo recente approdo da Stazione di Posta a Eit al Rex, Luigi Nastri ha duplicato le cucine e differenziato i fornitori. Per il locale di Testaccio, oggi curato dalla sous Annalisa Macellaio, si approvvigiona al vicino Mercato di Testaccio, da Stefano Cogoni, e all'ancor più vicino negozio bio all'interno della Città dell'Altra Economia, in cui si trovano i prodotti di Agricoltura Nuova, azienda agricola biologica alle porte di Roma. Per il neonato Eit, che occupa gli spazi che erano di Pipero al Rex, la scelta si fa più radicale. Perché per il suo menu realizzato con il supporto del secondo Simone Casciana ha scelto L'Orto di Clapi. “Lorenzo Maggi è un agronomo, sta a Campagnano dove lavora con la permacultura”. Il menu è basato su otto ingredienti “che hanno un nome e un cognome” dice, a significare che il prodotto ha un ruolo centrale e come tale viene debitamente presentato. Le materie prime vengono declinate in piatti che non hanno un ruolo definito, ma escono secondo il solo criterio della sequenza dei sapori, “per cui può capitare che arrivi in tavola un risotto come prima portata, prima ancora di un antipasto” e può anche capitare che un ingrediente dia vita a più portate. In questo contesto gli ortaggi, più legati alla stagionalità, sono protagonisti dei piatti, inoltre almeno 4 proposte sono vegetariane. Evidente dunque l'importanza di una materia prima autentica e di qualità impeccabile quando si lavora sul singolo prodotto. “Sento Lorenzo, e in base a quel che ha definisco i piatti” spiega Nastri “anche perché il suo approccio è di ridurre al minimo gli interventi, quindi subisce molto le variazioni climatiche e non può assicurare un prodotto costante”.

Stazione di Posta | Roma | Largo Dino Frisullo | tel. 06 5743548 | www.stazionediposta.eu

Eit Roma | Roma | via Torino, 149 | tel. 06 4815702 | http://eitroma.com/

Agricoltura Nuova | Via Valle di Perna, 315 | tel. 06 507 0453 | http://www.agricolturanuova.it/

L'orto di Clapi | Campagnano | strada Valle La Merla | tel. 340 3981163

 

Piccola Bottega Merenda

Il nostro fornitore è Piccola Bottega Merenda A parlare è Francesca Barreca, con Marco Baccanelli proprietari e cuochi di Mazzo, a Centocelle. Prendono lì la frutta e la verdura che usano in cucina: “Quest'anno, tra gli altri, il luppolo e l'asparago selvatici, le misticanze che sono vere, quelle che ci trova lui cambiano di stagione in stagione e a volte di settimana in settimana”. Le usano spesso, per esempio in accompagno ai nugget vegetariani “una specie di cotoletta panata, ma vegetale. In autunno di zucca, in inverno di broccolo. La serviamo con misticanza e maionese alla paprica”. La frutta si usa sempre poco in cucina. “Abbiamo sempre una torta del giorno in cui usiamo una frutta o una verdura: mele, limone e carote proprio per dare un quid stagionale nel dolce che ci permette di usare i suoi prodotti”. Tutto arriva dalla selezione di Giorgio, instancabile a trovare produttori anche piccolissimi che riservano vere e proprie sorprese. “Senza contare” aggiunge Francesca “che è sempre molto disponibile”.

Piccola Bottega Merenda | Roma | Viale Anicio Gallo 59/61 | tel. 06 71510455

Mazzo | Roma | via delle Rose, 54 | tel. 06 64962847 | http://www.thefooders.it/mazzo/

 

Il Trattore

In una delle aree agricole capitoline, la Valle dei Casali, ci sono diversi spazi coltivati, per esempio quello de Il Trattore, azienda agricola biologica cui si rivolge Roberto Campitelli, con Fabio Tenderini all'Osteria di Monteverde sono molto bravi, hanno poche cose tutte coltivate da loro in regime di agricoltura biologica”. L'offerta varia secondo stagione, ovviamente “ora ci sono fave, piselli, asparagi, insalate selvatiche. Coltivano moltissimi tipi di pomodori, così riescono ad averne quasi tutti i mesi”. Non è il loro unico riferimento per frutta e verdura: “Venendo da Colli Portuensi, su largo La Loggia c'è una frutteria, vicino al negozio della Bmw” un'indicazione stradale per “uno dei pochi negozi di frutta come una volta” spiega, e in effetti è un'insegna storica. anche se l'insegna non c'è, “hanno sia prodotti presi ai mercati generali che coltivati da loro, stanno lì da una cinquantina d'anni”. Quando serve, Campitelli va anche al vicino mercato di San Giovanni di Dio, nella parte dei produttori dove ci sono soltanto agricoltori; sono banchi che si riconoscono: “non sono così ricchi di varietà”. Ma non è quello che conta.

Il Trattore | Roma | via del Casaletto, 400 | tel. 06 6574 2168 | http://www.iltrattore.it/it/

Osteria di Monteverde | Roma | via Pietro Cartoni 163/165 | tel. 06 53273887 | http://www.losteriadimonteverde.it/

 

a cura di Antonella De Santis

 

Leggi anche Dove comprare frutta e verdura a Milano. 7 ortolani raccomandati dagli chef

Oli d'Italia 2017. Azienda dell'anno: Agrestis di Buccheri

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La guida Oli d'Italia del Gambero Rosso ogni anno raduna i migliori produttori di extravergine della Penisola. Fra questi, 13 vengono insigniti con dei premi speciali. Quello di “azienda dell'anno” per questa edizione 2017 va ad Agrestis, una realtà siciliana della provincia di Siracusa.

La guida

379 aziende e 590 oli. È la guida Oli d'Italia 2017, volume che chiama a raccolta le realtà olivicole nazionali più interessanti, premiandole con Una, Due o Tre Foglie. Per ottenere il massimo del punteggio, un'etichetta deve presentare delle caratteristiche organolettiche ben precise: profilo aromatico ampio e variegato, sapore netto, equilibrio e pulizia del palato. Con oltre 500 cultivar (varietà di olive), il panorama olivicolo italiano è il più ricco del pianeta e vanta diverse etichette di alta qualità. La guida assegna a ognuna di queste punteggi diversi, e alle più meritevoli, dei premi speciali. L'azienda dell'anno di questa edizione è Agrestis di Buccheri, in provincia di Siracusa, e insieme a Pietro Nicotra, ne abbiamo ripercorso insieme la storia.

Le origini

A cominciare questa avventura, papà Lorenzo con il socio Giuseppe Paparone, che nel 2003 decidono di intraprendere una strada insolita per l'epoca. Mentre tutti i giovani abbandonano gradualmente la campagna, i due fondano la loro azienda puntando tutto sull'oro verde: “In passato l'olio è sempre stato un prodotto imprescindibile delle tavole degli italiani. Mio padre e Giuseppe amano il contatto con la natura e hanno deciso di restituire valore a questa eccellenza italiana”. Prendono così in gestione i primi oliveti, investendo poi tutto il ricavato iniziale nello sviluppo dell'attività: “Il sogno era quello di creare un prodotto di altissimo livello”. E così hanno fatto. Con circa 15mila piante distribuite su 35 ettari di terreno, oggi l'azienda è una delle più solide realtà olivicole della Penisola.

 

Agrestis

La produzione

Curiamo tutto noi noi, dalla potatura all'imbottigliamento” con un team di 10 persone fisse tutto l'anno, “e qualcuna in più durante il periodo di raccolta”. La cultivar principale è la tonda iblea, presente per circa il 60% delle tenute, un'oliva tipica della Sicilia orientale che rappresenta il fiore all'occhiello dell'azienda, “ma abbiamo anche un po' di biancolilla e nocellara etnea”. Per una selezione di ben 5 etichette: il Nettare Ibleo Dop Monti Iblei, monocultivar di tonda iblea biologico (Tre Foglie), il Verd'Olivo Novello, un blend di biancolilla, nocellara etnea e tonda iblea (Tre Foglie), il Bell'Omio Bio, blend di tonda iblea e biancolilla (Tre Foglie), il Fiore d'Oro, una Dop Monti Iblei monovarietale di tonda iblea, e il blend Foglia d'Argento, “la nostra linea base”. Gli uliveti si trovano a un'altitudine fra i 600 e i 750 metri e parte dei terreni è a regime biologico, “mentre la restante è attualmente in conversione”.

 

Nettare Ibleo

Il frantoio

Niente frantoio aziendale per Agrestis, “almeno per ora”. L'azienda porta le sue olive a molire da FrantoiCutrera, eccellenza olivicola di Chiaramonte Gulfi, in provincia di Ragusa. Impianto Pieralisi a due fasi, dove le olive vengono portate entro le 24 ore: “Iniziamo a raccogliere alle 8 di mattina e alle 18 le olive sono già in frantoio”. A seguire le varie fasi della lavorazione insieme al frantoiano, i soci dell'azienda, che ogni sera a turno si occupano di controllare l'intero processo. “Impossibile stabilire dei tempi e delle temperature fisse per la molitura. Ogni varietà vuole delle misure precise, che cambiano poi a seconda del periodo di raccolta, del grado di maturazione dell'oliva e così via”.

 

Frantoio

Per la loro tonda iblea, gli olivicoltori di Agrestis in fase di gramolazione – momento di rimescolamento della pasta delle olive – lavorano sui 23/24°C per circa 25 minuti. Successivamente il prodotto viene portato in azienda per la fase di decantazione e filtraggio: “Abbiamo cominciato a filtrare l'olio circa 3 anni fa. Prima, ci affidavamo al metodo della decantazione naturale, travasando il prodotto per 2/3 volte in silos sotto-azoto, ma col tempo ci siamo resi conto che, una volta filtrato, l'olio riesce a mantenere aromi e profumi molto più a lungo e conservarsi al meglio”. Perché, lo ricordiamo, un buon extravergine non filtrato, se ben lavorato, può essere un prodotto valido, ma che va consumato entro un mese; dopo questo tempo, comincia una fase di deterioramento irreversibile.

 

Imbottigliamento

Il territorio e il concetto di terroir

Per la qualità dell'extravergine contano tempi di raccolta, lavorazione in frantoio, ma anche la stessa varietà di oliva, che determina una serie di note aromatiche nel prodotto finale. Per ogni regione esistono delle cultivar autoctone specifiche, alcune tipiche solo di zone particolari, altre condivise da più aree. Ma quanto il terreno e il territorio influiscono sul profilo qualitativo dell'extravergine? E soprattutto, si può parlare di terroir in ambito olivicolo? Partiamo da una base scientifica: le radici dell'ulivo sono molto superficiali, in genere raggiungono una profondità massima di 50-100 centimetri, e soprattutto si sviluppano in orizzontale. Per questo motivo, gli elementi presenti nel sottosuolo più profondo non possono essere assorbiti dalla pianta.

Ma certamente la terra ha una sua influenza, e le scuole di pensiero al riguardo sono diverse.“Per me le aree di produzione sono fondamentali. Nonostante si trovino in superficie, le radici dell'ulivo sono pur sempre inserite all'interno di un determinato terreno. E anche nell'olio, il terroir ha un suo impatto”. Terroir, ovvero terreno, disposizione, clima, esposizione, altitudine ma anche la mano del contadino: un concetto che riassume più fattori determinanti che delimitano e definiscono un'area specifica. “Per esempio, il terreno di Buccheri è calcareo-vulcanico e il comune si trova in montagna, fa parte della sotto-zona del Monte Lauro, che è il più alto dei Monti Iblei”. Altra caratteristica di Buccheri è il terreno terrazzato: “Non abbiamo irrigazione in nessuna delle nostre tenute e gli ulivi sono così costretti a prendere l'acqua in profondità, dove il terreno è più minerale”. E non finisce qui: “Rispetto ai terreni in pianura, quelli terrezzati permettono all'acqua di defluire immediatamente anche nei periodi più piovosi”. Questo garantisce agli olivicoltori di non avere mai acqua ristagnata sotto le piante.Altro fattore da considerare è l'impollinazione: “Il nostro è un ambiente molto eterogeneo, ricco di piante selvatiche. Ogni ape che va a impollinare gli ulivi è passata prima su altri fiori e un minimo di contaminazione avviene”.

Biologico: trattamenti e accortezze

Coltivazione in parte biologica e in parte in conversione, dicevamo. Una scelta non semplice per gli olivicoltori, soprattutto negli ultimi tempi, e in un'annata così difficile come quella passata. Perché combattere la mosca olearia (e altri parassiti) senza trattamenti o con metodi naturali richiede un investimento notevole da parte dei produttori, e delle scelte importanti a discapito della resa. “Per disinfettare utilizziamo il rame, ma spesso abbiamo la fortuna di avere anche la neve, che è un disinfettante naturale, in grado di distruggere i batteri”. Per la mosca, ci sono le trappole al ferormone, “che consentono di monitorare la presenza del parassita e, in base alla quantità e al potenziale di attacco, decidiamo se intervenire o meno”. E per la campagna olearia 2016/2017 è stato necessario: “Fortunatamente, ci siamo resi conto in tempo che c'era un attacco di mosca in arrivo. Abbiamo deciso di anticipare di una settimana la raccolta, che solitamente comincia a fine settembre, e abbiamo così salvato la produzione”. Che è comunque diminuita negli ultimi anni: “Produciamo il 30% di quello che potremmo fare. Il clima purtroppo sta cambiando e il freddo primaverile non fa bene alle piante. Questo è il periodo più delicato dell'anno per l'ulivo e gli sbalzi di temperatura non giovano alla produzione”. In particolare, i fiori inumiditi dalla nebbia mattutina vengono poi bruciati dal sole pomeridiano, “e in fase di fioritura questo può essere estremamente dannoso”. La prossima annata, comunque, promette bene: “al momento i fiori non si sono ancora schiusi. Tra due settimane iniziamo a tenere le dita incrociate”.

Gli altri prodotti

La qualità dell'olio, quindi, si fa tutto l'anno, e non solo in fase di raccolta: “Le piante vanno curate sempre, altrimenti non si può pretendere di ottenere un buon prodotto finale”. 3 operai esperti si occupano della potatura, “fase fondamentale per la manutenzione degli alberi”, e a seguire tutti i trattamenti è papà Lorenzo. La regola principale? “Investire. Per fare un buon olio occorre spendere soldi nelle cure. Non esiste altro sistema”.

 

Raccolta

È sempre Lorenzo a selezionare le piante destinate alla produzione di olive da mensa e quelle per l'extravergine: “realizziamo olive bianche e nere, e poi abbiamo anche una selezione di prodotti secondari”. Come patè, pesti e confetture, “con ingredienti di nostra produzione oppure di piccoli agricoltori locali”. Il più venduto? “Il pesto al finocchietto selvatico”.

 

Pesti

La vendita e il prezzo dell'olio

E a proposito di vendita, quella di Agrestis è indirizzata principalmente all'estero. “Il 65% del nostro olio viene esportato, soprattutto in Germania, paese con il quale abbiamo stretto da tempo un rapporto lavorativo molto solido”. Ma ci sono anche il Giappone, il Canada e Taiwan fra i principali acquirenti. E in Italia? “Siamo presenti in vari negozi di nicchia e poi degli online shop”. Sul sito dell'azienda, invece, non c'è una sezione di e-commerce a tutti gli effetti “ma è possibile ordinare dei quantitativi minimi da qualsiasi zona d'Italia”. E a che prezzo? “Una bottiglia da mezzo litro di extravergine di qualità, secondo me, non può costare al consumatore finale meno di 12 euro”. Ovvero 24 euro al litro. Un po' eccessivo? “No, perché bisogna considerare tutta la fatica che si cela dietro una bottiglia e i costi fissi di un'azienda, dalla manodopera alla manutenzione delle piante. Il nostro olio costa anche di più ma, se comunicato in maniera corretta, il pubblico è in grado di apprezzarlo”.

La comunicazione

E qual è il modo giusto per promuovere l'oro verde? “Siamo ancora un poco indietro a livello di comunicazione. Lavorando con il pubblico estero, posso confermare che molto spesso un tedesco apprezza molto di più di un italiano una buona bottiglia”. Un controsenso, considerando che, dopo la Spagna, la nostra Penisola è il paese più produttivo al mondo in campo olivicolo. “La rete televisiva nazionale dovrebbe impegnarsi di più per diffondere la cultura dell'extravergine. Dovrebbe essere un progetto statale, quello di promuovere prodotti di qualità”. Dei piccoli passi in avanti, comunque, sono stati mossi, “anche grazie a realtà come il Gambero Rosso” e al lavoro dei venditori: “Sono proprio i commercianti a fare formazione al pubblico, comunicando il prodotto e spiegando loro la ragione del prezzo”. L'obiettivo del panorama olivicolo italiano, dunque, deve essere quello di fare rete per poter formare così consumatori consapevoli, in grado di distinguere un buon prodotto da uno di bassa qualità. Nel futuro dell'azienda, invece, un nuovo grande progetto: “Abbiamo intenzione di inserire un frantoio aziendale, per poter così seguire tutte le fasi della filiera”. Non ancora, ma “è un passo che vogliamo compiere al più presto”.

Agrestis | Buccheri (SR) | via Sabauda, 86 | tel. 393 0271550 | www.agrestis.eu

a cura di Michela Becchi

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Guida Oli d'Italia 2017. Ecco tutti i premi speciali 


Sicilia en Primeur, ecco come si presenta l'Isola all'appuntamento con i suoi vini

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Mentre è in corso Sicilia en Primeur e l'anteprima dei vini siciliani, facciamo il punto sulla viticoltura della regione. In primo piano sostenibilità e progetti territoriali, con la valorizzazione dei vitigni autoctoni e della aree archeologiche, mentre crescono la Doc Sicilia e quella dell'Etna

Sicilia en primeur 2017

La XIV edizione di Sicilia en Primeur,iniziata il 25 aprile andrà avanti fino al 29 aprile quando, a partire dalle ore 18.30, l’evento riservato alla stampa nazionale e internazionale sarà aperto anche al pubblico dei wine lovers, i quali potranno degustare i vini delle 50 aziende partecipanti.

Il baricentro della manifestazione è il parco Radicepura situato a Giarre, in provincia di Catania, a metà strada tra l’Etna e il Mar Ionio. Fondata da Venerando Faro (la famiglia ha poi fondato anche la cantina Pietradolce), l’azienda è uno dei punti di riferimento del florovivaismo internazionale. Si estende per 5 ettari, vanta 3000 specie di piante e ha una Banca dei Semi. Durante Sicilia en Primeur sarà possibile visitare giardini site-specific, di circa 150 metri quadrati ciascuno, realizzati da quattro garden designer di fama internazionale in occasione del Radicepura Garden Festival (21 aprile – 21 ottobre 2017).

Nel corso della kermesse vitivinicola, oltre alle degustazioni dei vini della vendemmia 2016, si parlerà del legame tra paesaggio vitivinicolo, la storia millenaria dell’isola e l'obbligo etico di difendere questo patrimonio per tramandarlo alle future generazioni. “Una produzione che rispetti l’ambiente e tuteli il territorio è una tematica sempre più fondamentale per la viticoltura e in special modo per le aziende di Assovini Sicilia” afferma Francesco Ferreri, presidente di Assovini Sicilia“Poter organizzare il nostro evento sullo sfondo del Radicepura Garden Festival è un’opportunità irrinunciabile che ci permette di trasmettere i nostri valori di responsabilità ambientale su scala internazionale”. Assovini, a cui sono associate 78 aziende che esprimono un valore di circa 300 milioni di euro, prevede che nel 2017 ci sarà una crescita nelle vendite pari al 5-6%. “Possiamo contare su una qualità dei vini che migliora ogni anno, grazie anche alla sempre maggiore attenzione che le aziende hanno per la sostenibilità” conclude Ferreri.

 

L’Alleanza per la vitivinicoltura sostenibile

Proprio in ottica sostenibile è nata in Sicilia l’Alleanza, composta da un primo gruppo di sei aziende (Cos, Terre di Noto, Cantine Settesoli, Planeta, Tasca d’Almerita e Tenuta Santo Spirito) e a cui prossimamente se ne aggiungeranno altre, che ha come base Sostain, il primo programma specifico di sostenibilità per la vitivinicoltura, volontario e proattivo, nato nel 2010. Al di là delle scelte produttive di ognuna (regime tradizionale, biologico, integrato, ecc.) le aziende hanno in comune l’attenzione “al benessere dei lavoratori e la salute dei consumatori, il coinvolgimento delle comunità locali, la valorizzazione del territorio circostante, la conservazione delle risorse naturali”. Inoltre, il progetto Sostain (vedi www.sostain.it) inizialmente sperimentato dalla sola Tasca d’Almerita e poi fatto proprio dalle altre aziende, è stato integrato con il programma nazionale del Ministero dell’Ambiente VIVA per il calcolo degli indicatori Aria, Acqua, Vigneto e Territorio (carbon footprint, waterfootprint, ecc.). Dice Alberto Tasca, ad di Tasca d’Almerita: “Il progetto Sostain è diventato una bussola non solo della nostra azienda ma, per certi versi, anche delle nostre vite, visto che si tratta di un percorso nel quale viene misurato l’impatto che ogni azione provoca a 360°”.

 

Nuove opportunità, vecchi vitigni

Altro progetto sostenibile legato alla viticoltura siciliana è la valorizzazione delle specie autoctone. Durante lo scorso Vinitaly, l’Assessore regionale all’agricoltura Antonello Cracolici, ha annunciato che è pronto l’iter per l’iscrizione di 10 vitigni nel Catalogo nazionale delle viti. Si tratta di un primo gruppo di cui fanno parte: 4 rappi, catanese bianca, inzolia nera, lucignola, orisi, prunestra, recuno, reliquia bianca, usirioto e vitrarolo, salvati dall’estinzione. Dopo l’iscrizione, e la moltiplicazione da parte dei vivaisti, queste uve potranno essere impiantate e vinificate dalle aziende, diventando così una nuova opportunità per la vitienologia regionale. “La Sicilia si conferma come culla di biodiversità, prima tra le regioni italiane insieme alla Calabria” ha commentato l’assessore Cracolici.

 

Lo stato dell’arte della Doc Sicilia

Nonostante sia entrata in vigore soltanto con la vendemmia 2012, la Doc Sicilia è già diventata una delle più importanti denominazioni italiane per volumi di imbottigliamento. Una smentita per chi, sino a non molto tempo fa, preconizzava un futuro gramo per il vino regionale e ancor di più per le altre Doc territoriali esistenti, a causa della creazione della Doc Sicilia. “Nel 2016, è cresciuta dell'11% rispetto all'anno precedente e ha raggiunto i 26 milioni e 800mila bottiglie con 201 mila ettolitri di imbottigliato” sottolinea Maurizio Lunetta, direttore del Consorzio di tutelaIl tutto senza togliere nulla ai vini Igt Terre Siciliane e alle altre Doc che vedono aumentato il volume del loro imbottigliato".

Inoltre, l’obbligo di etichettatura dei vini Grillo e Nero d'Avola, esclusivamente con la Doc Sicilia, permette già sin d’ora di esercitare dei controlli a partire dai vigneti. È un passaggio importante, seppur arrivato in ritardo come del resto la Doc Sicilia, che dà una protezione a due tra i più rappresentativi vini della regione. "La garanzia di una migliore qualità del vino e un maggior controllo dell’intera filiera di produzione” spiega il presidente del Consorzio Antonio Rallosono stati un risultato che abbiamo raggiunto coinvolgendo le realtà della cooperazione e le piccole e grandi aziende, anche per riconoscere ai viticoltori siciliani il giusto valore all'uva”. Nel 2016 la Doc Sicilia (201.000 hl) è stata rivendicata su oltre 10.600 ettari della superficie vitata regionale ed è stata utilizzata da 134 cantine, mentre la superficie totale del vigneto siciliano è risultata di 97.900 ettari con una superficie denunciata di 81.000 ettari dei quali 4.000 con denunce di produzione pari a zero.

 

Crescono i vini del vulcano

Tra le altre denominazioni dell'Isola, menzione a parte merita la Doc Etna. All’ultima manifestazione Contrade dell’Etna, lo scorso 3 aprile, erano quasi 90 le aziende del territorio che hanno presentato vini in degustazione. Gli ettari rivendicati dalla denominazione crescono da 680 ettari del 2014 ai 778 del 2015 e aumenta, sempre negli stessi anni, l’imbottigliamento da 12.370 a 17.800 ettolitri: la viticoltura etnea pur essendo una parte assai circoscritta di quella regionale, sta continuando a mietere successi. L’ultima azienda in ordine di tempo che ha deciso di produrre sull’Etna è la trapanese Cantine Europa, una delle più grandi cooperative siciliane a cui aderiscono oltre duemila soci. La nuova impresa, nata dalla fusione di due aziende esistenti, è stata denominata Due Sorbi e ha sede a Valverde in provincia di Catania. Dotata di una moderna cantina con una capacità di 6.000 ettolitri, produrrà, oltre ai vini dell’Etna, anche spumanti sia metodo classico che metodo Martinotti. La nuova azienda, che acquisterà le uve sul mercato, dovrà camminare sulle proprie gambe e non peserà sui bilanci di Cantine Europa.

 

Il libro sul vigneto siciliano

Il volume Identità e ricchezza del vigneto siciliano si basa su una ricerca mai effettuata in precedenza, nata con l’obiettivo di fornire viti di migliore qualità, genetica e sanitaria, e di reintrodurre vitigni minori di cui si era persa la memoria. La ricerca, iniziata nel giugno 2003, permise di raccogliere una mole imponente di dati: circa 7.000 piante controllate in tutto il territorio regionale, 480 vigneti studiati, 90 comuni interessati, oltre 2600 test ELISA per la ricerca delle virosi. Grazie alla ricerca, per esempio, è stato possibile individuare dei biotipi qualitativamente più complessi dal punto di vista polifenolico (nero d’Avola, frappato, grillo, ecc.) rispetto a quelli esistenti. Èpossibile effettuare il download gratuito del volume a questo link.

 

Sostenere il Parco di Selinunte

Infine, uno sguardo alla valorizzazione del territorio e del suo patrimonio artistico. Tra qualche giorno, nella prima decade di maggio, il versante est della cinta muraria dell’Acropoli di Selinunte sarà finalmente illuminato come si deve. La campagna Cantine Settesoli per Selinunte, finanziata attraverso la vendita di bottiglie di vino Doc Sicilia in Gdo, sta dando i suoi primi frutti concreti. Il primo stanziamento - €24.000 - è stato subito speso per l’impianto di illuminazione, il secondo - €42.000 -riguarderà la manutenzione del tempio di Apollo e poi via via, man mano che i fondi saranno disponibili e i bandi per i lavori approvati, si continuerà ad investire in migliorie del più grande parco archeologico d’Europa (310 ettari). Un modo di “restituire” al territorio, da parte di Settesoli, che permetterà di fare manutenzione e renderà più accogliente il sito. Anche la biodiversità viticola siciliana continua ad essere una delle fonti di ricchezza del territorio.

Il Parco si può sostenere non solo con l’acquisto del vino ma anche facendo un bonifico bancario su IBANIT75Y0200881830000104621411, intestato a “Parco Archeologico di Selinunte e Cave di Cusa”. La donazione permette di detrarre dalle tasse il 65% (Art. Bonus). Per ricevere il beneficio fiscale è necessario specificare nella causale “Art. Bonus – Parco di Selinunte” seguito dal codice fiscale o dalla partita Iva.

 

 

a cura di Andrea Gabbrielli

 

 

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 27 aprile

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Milano e la riqualificazione dei mercati rionali. Il modello è il Suffragio

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Alla fine del 2015 riapriva le porte il piccolo mercato di Santa Maria del Suffragio, anche grazie all'impegno di Davide Longoni. Oggi Palazzo Marino è sempre più intenzionato a valorizzare i mercati rionali della città. E presto potrebbero esserci novità per le strutture di Lagosta, Wagner e Morsenchio. 

Milano e i mercati rionali. Una scommessa vinta

Molti sono già rientrati con pieno diritto tra le mete gastronomiche da non perdere in città, grazie agli sforzi di commercianti e consorzi, e con il sostegno di un'amministrazione comunale che crede nel valore della riqualificazione urbana come strategia di equilibrio sociale. Anche quando si tratta di riabilitare il ruolo di un mercato rionale, punto di incontro privilegiato e contenitore di eccellenze del territorio, a patto che dietro ci siano investimenti concreti e realtà degne di essere incoraggiate (e finanziate). E così, l'estate scorsa, Palazzo Marino tracciava un bilancio delle prime operazioni andate a buon fine, Lorenteggio e i suoi progetti solidali, la ritrovata struttura di Santa Maria del Suffragio, il mercato in Darsena di piazza XXIV Maggio, che da tempo veleggia spedito, e buona parte del merito si deve ai progetti visionari di Giuseppe Zen. Ma delle 21 strutture rionali, l'assessore al Commercio Cristina Tajani puntava a riqualificare concretamente quanti più plateatici possibili, garantendo da un lato il sostegno economico del Comune e incentivando, dall'altro, la costituzione di cooperative e consorzi in grado di presentare progetti originali e portarli a buon fine. E quando mancano pochi giorni all'apertura della prima Milano Food City, che scommette proprio sul ruolo aggregante e attrattivo del cibo e coinvolgerà pure alcuni mercati della città, Palazzo Marino conferma l'intenzione di proseguire sulla strada tracciata.

Progetti per il futuro. Il mercato di Isola

Entro la fine dell'anno, infatti, dovrebbero chiudersi i bandi di gara relativi al rinnovamento di altre tre strutture (rivela Repubblica): Lagosta, Wagner e Morsenchio. Con particolare attenzione sul mercato di piazzale Lagosta, cui fa capo il quartiere di Isola, dove l'iniziativa di dieci operatori – sono dodici in tutto, in uno spazio ridotto ma ricco di fascino, suggerito pure da Cesare Battisti del Ratanà, che qui fa spesso visita a un fruttivendolo di fiducia - ha portato alla costituzione di un consorzio per ripensare orari e modalità di fruizione del mercato di una delle zone più movimentate della città. Il modello, neanche a dirlo, è quello di Santa Maria del Suffragio, un moderno mercato con cucina aperto fino a tardi, che forse paga in perdita di autenticità lo scotto di questo desiderio di modernità. Più food hall che mercato di quartiere, insomma, ma comunque meritevole per il valore delle realtà coinvolte, Davide Longoni e il suo pane in primis, anche e non necessariamente modello da imitare. Ma il mercato di Isola sembrerebbe destinato a seguirne l'esempio, con l'idea di ricavare uno spazio, su 600 metri quadri di estensione complessiva, da allestire con tavoli e attrezzare per la pausa pranzo, o per la cena, con i prodotti cucinati in arrivo dai banchi.

 

Il mercato di piazza Wagner

Sul modello del consorzio, intanto, puntano anche gli operatori di Piazza Wagner (che il 6 maggio animeranno la Notte Golosa, prove generali in vista di un servizio di somministrazione in pianta stabile?), che dal Comune potrebbero ottenere un prolungamento della concessione e uno sconto di canone in cambio di un progetto di rinnovamento convincente. Nella struttura in attività dal 1929, del resto, non mancano le realtà d'eccellenza, come Cucina Barzetti (ospite fisso del box del salumaio Ceba da novembre 2016), con il risotto espresso del sabato mattina, e molte opportunità di degustazione quotidiane.

Senza escludere, nei casi più svantaggiati e periferici, l'intervento di finanziatori privati che investano in progetti di riqualificazione. Alternative al vaglio di Palazzo Marino, e ben accette per raggiungere un obiettivo dichiarato: “I mercati comunali coperti sono nati nel dopoguerra per calmierare i prezzi” ribadisce l'assessore Tajani “Oggi vogliamo rinnovare quella vocazione di servizio pubblico, da sola ormai obsoleta: rendendoli luoghi di socialità e presidio territoriale dove mettere a sistema idee ed energie per includere socialmente ed economicamente”. 

 

a cura di Livia Montagnoli

Cannolo Festival al mercato SanLorenzo di Palermo. Con la gara fra pasticceri

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Il re della pasticceria siciliana celebrato in un festival ad hoc. È il cannolo, un dolce di origini saracene, conosciuto ormai in tutto il mondo. Così il 29 e 30 aprile debutta a Palermo la prima edizione del Cannolo Festival, che ha l’obiettivo di riunire, in un'unica occasione, quattro dei principali distretti produttivi di questa specialità.

Le origini del cannolo

Una cialda fritta, scura e croccante, che offre ai golosi che l'addentano un ripieno morbido di ricotta di pecora, arricchita da gocce di cioccolato e/o canditi. È davvero un simbolo dell’identità isolana, il cannolo, un’armonia di contrasti che ben descrive l’anima dei siciliani. Questa preziosa specialità, la Sicilia, la deve agli arabi: le sue origini sono infatti saracene. Si narra che furono per prime le donne dell'harem del Castello di Qalc'at al-Nissa (antico nome di Caltanissetta) a inventare questa golosa ricetta, probabilmente per celebrare le notti d’amore dell’harem. Le donne, a loro volta, si erano ispirate a un dolce di origine romana, già raccontato da Cicerone, che descrive un“tubo farinaceo ripieno di un dolcissimo cibo a base di latte”. Incrociando una ricetta araba già nota e quella descritta da Cicerone, le donne dell’harem diedero vita al cannolo, per ingannare il tempo durante le guerre per la conquista del territorio siciliano.

 

Cannolo della pasticceri Colletti

Alla fine del dominio arabo, alcune di loro si convertirono al Cristianesimo, ritirandosi in monastero e passando alle consorelle la preziosa ricetta. Un dolce, insomma, che da sempre riesce a unire culture diverse.

 

Il Cannolo Festival e i protagonisti in gara

Piana degli Albanesi, Santa Cristina Gela, Chiusa Sclafani e Marsala: sono questi i territori che rappresenteranno, ognuno con le proprie specificità, l’arte del cannolo al Mercato San Lorenzo di Palermo. È qui che il 29 e 30 aprile saranno allestite quattro postazioni, ognuna delle quali ospiterà i maestri pasticceri: i partecipanti al festival potranno così assaggiare le diverse specialità, valutando i cannoli in gara per poi votare il preferito. Il giudizio della giuria popolare sarà mediato con quella della giuria tecnica, formata dal maestro pasticcere Pietro Pupillo, il giornalista Roberto Chifari e i food blogger Ornella Daricello e Vincenzo Puglisi. I maestri in competizione sonoVito Mandalà di Peccati di Gola (Piana degli Albanesi), Gaetano Biscari del Bar del Corso (Santa Cristina Gela); Giuseppe Colletti di Artigiandolce (Chiusa Sclafani); Giacomo Parrinello di Dolce Tentazione (Marsala).

A fare da cornice alla gara performance di pasticceria, talk e cooking show, seminari aperti al pubblico e l’apposita “area-lab”, che vedrà avvicendarsi i quattro maestri per mostrare la preparazione del dolce. Infine, una postazione dedicata a chi soffre di celiachia che servirà il cannolo senza glutine.

Cannolo Festival | Palermo | Mercato San Lorenzo | via Via S. Lorenzo, 288 | 29 e 30 aprile 2017 | www.facebook.com/sanlorenzomercato

 

 

a cura di Francesca Fiore

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Borgo Pignano a Volterra. Ospitalità con cucina, tra foraging e farine bio. La sfida di Vincenzo Martella

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Trascorsi importanti nell'alta ristorazione, e da due anni un lavoro di sperimentazione in cucina che conduce in simbiosi con la campagna toscana che lo circonda, nella suggestiva tenuta di Borgo Pignano. A Vincenzo Martella il compito di tradurre la filosofia dell'agriturismo di charme in tavola. Ecco come. 

Una tenuta da fiaba nel cuore della campagna toscana

Se al tramonto hai la fortuna di trovarti nel giardino all'inglese di Borgo Pignano affacciato in direzione della città di Volterra, che punteggia un orizzonte scandito dal dolce saliscendi delle colline toscane, lo spettacolo è impagabile. Da qui, nei giorni più tersi, lo sguardo spazia fino al mare, verso la costa tirrenica, e in lontananza si profila, come per magia, la Corsica. L'effetto sorpresa non è da meno quando salendo al piano nobile del palazzetto settecentesco che è fulcro della grande tenuta di Sir Michael Moritz, guidati dal profumo di lavanda che si mescola alla fragranza del pane, si varca la soglia di una delle 14 suite arredate con gusto per esaltare la vocazione di un'ospitalità rilassata che rifugge lussi sfrenati e ritmi incalzanti. Perché chi si rifugia a Borgo Pignano – all'80% una clientela internazionale in cerca della suggestione della campagna toscana – sa di poter contare su un'accoglienza sì attenta al dettaglio, ma pure aperta al confronto e piacevolmente family friendly e informale. Del resto le potenzialità dell'antico Borgo di Pignano, tra San Gimignano e Volterra, recuperato negli ultimi quindici anni con importanti interventi di restauro architettonico (nel rispetto, per esempio, del volto neogotico dovuto ai lavori ottocenteschi, ma pure delle preesistenze medievali apprezzabili nella Canonica del XIII secolo) e operazioni infrastrutturali oculate ed ecosostenibili, sono molteplici.

Vita rurale e certificazioni bio

A cominciare proprio dalla campagna che lo circonda, 300 ettari di terreno tra boschi, campi messi a coltura in regime biologico e biodinamico, stagni, un uliveto da mille piante, l'orto delle erbe officinali, l'allevamento di maiali di cinta allo stato brado, cottage e casali dislocati nel parco per un'ospitalità diffusa e più defilata. E poi la vigna, l'ultima arrivata, piantata a cigliegiolo, colorino e vermentino circa un anno fa, in attesa che il lavoro tra i filari possa dare i primi frutti. Nel bosco, da scoprire con un breve trekking a cavallo (magari al chiaro di luna), c'è persino una piccola cascata, ma gli amanti della vita rurale apprezzeranno maggiormente le 70 arnie che forniscono il miele vergine estratto per gravità e confezionato in una delle botteghe dell'azienda agricola, a pochi metri dall'edificio padronale, aperte pure per laboratori e approfondimenti con gli ospiti, oltre che per la vendita diretta dei prodotti a marchio Borgo Pignano: la pasta bio da grano duro Senatore Cappelli, ceci, lenticchie e farro perlato dalle campagne delle tenuta, conserve e confetture dolcificate con il miele, polline e miele millefiori e di sulla, tisane, cosmetici e lavanda lavorati nel laboratorio di erboristeria. Una produzione importante che avvalora le parole di Luciano Lusardi, direttore della struttura con trascorsi prestigiosi nel settore (da Verdura a Borgo Egnazia, prima di approdare in Toscana nel 2014): “Vogliamo essere un agriturismo ancor prima che un relais, privilegiare il rapporto con la natura e la campagna, coccolare gli ospiti con l'approccio autentico delle persone che a Borgo Pignano lavorano tutto l'anno per seguire i campi e la produzione”. Ognuno di loro, non a caso, ha un volto, un nome e una professionalità sotto gli occhi di tutti, dall'apicoltore Antonio Usan al capo fattore Enzo Maccioni, all'erborista Lisabetta Matteucci.

Tartare di vacca maremmana, acciughe salate da noi, spuma all'aglio rosso e tartufo nero

Villa Pignano. La cucina del Borgo

Pure lo chef, Vincenzo Martella, dalla Puglia di Torchiarolo, che nella squadra è approdato nel 2015 e ha preso le redini del ristorante Villa Pignano (aperto anche a chi arriva dall'esterno), curando al contempo l'intera proposta gastronomica della struttura. Dopo tante esperienze importanti – lo stage di pasticceria alla corte di Angelo Paracucchi nel '96, trascorsi all'Oca Bianca di Viareggio e alla Rosetta di Roma, con Massimo Riccioli, prima dell'ultimo passaggio a Borgo Egnazia, nella sua Puglia – Vincenzo oggi, a 40 anni, è uno chef completo e molto determinato a perseguire la sua strada. Quella di un purista della cucina che tanto deve al rigore della sua prima passione, la pasticceria, e al legame intenso con i prodotti della terra, che nel piatto si traduce non solo nell'esaltazione della materia prima, spingendosi fin a raccontare una storia che accoglie l'ingrediente, lo accudisce restituendogli la dimensione che gli è più fedele, per memoria e accostamento di sapori. Un piatto su tutti, le Lumache alle erbe sotto la neve accolte da briciole di “terra” alla nocciola, radici e protette da una “coperta” di spuma all'aglio rosso, come la neve che all'inizio della primavera lentamente lascia affiorare i primi germogli: “L'immaginazione mi porta spesso a ricreare un paesaggio nel piatto, ma è il palato mentale che conta, la capacità di concepire un'armonia di ingredienti e consistenze da tradurre in pratica. Senza che l'estetica prenda il sopravvento, il piatto dev'essere buono”. Certo, conta l'esperienza pregressa, la scuola dei maestri, ma l'approccio di Vincenzo è soprattutto quello di un cuoco che vive di sperimentazione costante e non ha smesso di stupirsi per ciò che lo circonda, con spirito quasi fiabesco, bilanciato però da tanto rigore.

Foraging, pane e prodotti dell'orto

A Villa Pignano guida una brigata di dodici giovani, con loro si dedica al foraging nei campi della tenuta, al perfezionamento delle ricette, alla produzione del pane, che è un cardine importante del suo lavoro: “Abbiamo a disposizione la farine della nostra azienda molite a pietra, Gentil Rosso, farro dicocco, Senatore Cappelli, produciamo ogni dieci giorni con lievito madre, e non serviamo mai in tavola il pane che è stato sfornato in giornata: deve riposare, per perdere umidità, ed essere più digeribile”. Nel cestino anche grissini tirati con erbe di macchia e crackers di grano arso ispirati ai tarallucci pugliesi.

Raviolini pizzicati al formaggio Guttus, salsa di olive leccine, lamponi e briciole di cioccolato bianco

 

Ma la tavola è tutta un trionfo di prodotti locali, dagli ortaggi raccolti nell'orto biologico ai legumi, ai salumi di cinta senese, alle uova. E quando non arrivano dai terreni della tenuta, gli ingredienti sono comunque selezionati con scrupolo maniacale, “perché l'artigiano diventi artista”: il caprino di Mattia Barzaghi (“con solo 9 capre produce formaggi straordinari”), la tartare di vacca maremmana della Fattoria Rimaggio, il piccione della Valdichiana della fattoria di Laura Peri (servito come convincente variazione di petto, patè di fegatini in bignè, crocchetta di ali, mousse di mela, verza scottata e riduzione al cioccolato Sao Tomè e cannella), il pescato di scoglio, i fagioli di Pratomagno. Al capitolo dessert l'ennesima sfida, abbattere la barriera tra dolce e salato, come nella Tartelletta con crema allo zenzero, frutta e verdura o nel Tiramisù vegano, ardito esperimento con formaggio di riso toscano, ganache di cioccolato all'acqua, cialda di patate e caffè di cicoria. Presto, da giugno, si aprirà un nuovo capitolo: la “trattoria” Al Fresco, immersa nel giardino, per carne alla griglia a pizza da forno a legna. Un modo in più per valorizzare le farine della tenuta. E l'impegno di Vincenzo Martella.

 

Borgo Pignano | Volterra (PI) | Località Pignano, 6 | tel. 0588 35032 | www.borgopignano.com

 

a cura di Livia Montagnoli

Foto di Lido Vannucchi

Gelato d'autore da Nivà a Torino. Quattro settimane, quattro chef, quattro gusti speciali

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Il progetto promosso da Diana De Benedetti riunisce nella gelateria di via Lagrange quattro chef che hanno deciso di cimentarsi con il gelato, ognuno declinando la propria idea di cucina in un gusto inedito. Ecco come e quando assaggiare le proposte di Marco Sacco, Christian Milone, Mariangela Susigan, Alain Llorca. 

La gelateria gourmande di Torino

Stelle anche nel gelato a Torino. L’idea è di Nivà, la gelateria che dal 2016 Diana De Benedetti e sua figlia Diana hanno aperto in città, tre sedi, e a Cannes, in Costa Azzurra.

La storia di Nivà parte da lontano. Nel 1991 Diana e il marito Silvio avevano ottenuto la stella Michelin per il loro ristorante, il Bontan sulla collina di San Mauro, alle porte di Torino: un indirizzo gourmand che aveva innovato la tradizione gastronomica piemontese. Da allora sono cambiate molte cose, Silvio non c’è più, il ristorante è un capitolo chiuso. Ma Diana e Silvia hanno continuato a occuparsi di gusto e di cose buone: prima con le gelaterie Rivareno e ora con questa nuova avventura, indipendente e creativa.

E la novità di oggi è in qualche modo un omaggio a quel percorso stellato intrapreso tanti anni fa. Così hanno riunito un po’ di amici chef, tutti stellati, e li hanno coinvolti in un progetto davvero nuovo: non semplicemente uno show cooking ice “una tantum”, ma la possibilità di gustare un esclusivo gelato “con le stelle” in gelateria (coppette in purezza proposte a 3€ e vaschette da asporto). Gli chef in questione sono Marco Sacco, 2 stelle Michelin (e Due Forchette) al Piccolo Lago sul lago di Mergozzo, a Verbania, Christian Milone, che ha appena ottenuto la sua prima stella (e Due Forchette) per la Trattoria Zappatori di Pinerolo, Mariangela Susigan, chef 1 stella (e Due Forchette) alla Gardenia di Caluso e dalla Costa Azzurra Alain Llorca, 2 stelle Michelin nel suo ristorante della Colle sur Loup, bel borgo antico alle spalle del mare.

 

Gelato stellato. Il progetto

Tutti e quattro, per quattro settimane, sono i protagonisti del progetto di gelato gourmet di Nivà. Come? Prima venendo di persona a presentare e offrire al pubblico il loro gelato, ricette preparate ad hoc per un aperitivo-gelato. E poi proponendo per tutta la settimana il loro gelato in gelateria.

Si comincia domenica 30 aprile, quando nell’ApeNivà collocata davanti alla gelateria di via Lagrange 26, alle 12 (unico appuntamento per un aperitivo prima di pranzo) arriva Marco Sacco a raccontare e offrire la sua reinterpretazione del gelato con un inedito gelato al Topinambur (disponibile poi fino al 5 maggio in gelateria). Sabato 6 maggio alle 18 Christian Milone, propone il gelato Peperoni e Acciughe, un classico della ristorazione piemontese in versione aperi-gelato (poi fino al 12 maggio in gelateria). Mariangela Susigan, gran sostenitrice della cucina con le erbe, sabato 13 maggio alle 18 propone il gelato alla Silene, pianticella comune nei nostri prati (riproposta poi fino al 19 maggio). E per finire sabato 20 maggio, sempre alle 18, Alain Llorca porta a Torino dalla riviera francese il suo gelato alle Olive (disponibile fino al 26 in gelateria).

Non è stato facile realizzare le ricette, bilanciare i pesi per un aperi-gelato che mantenesse i sapori delle materie prime e le consistenze giuste- spiega Diana De Benedetti – Abbiamo lavorato molto insieme agli chef e ora aspettiamo il responso del pubblico”.

L’occasione è davvero speciale, per le ricette esclusive e per la presenza degli chef in una versione informale, da streetfood, ma di livello. E con commento musicale di Cocina Clandestina nelle giornate di presentazione con gli chef.

Poi nella gelateria Nivà di via Lagrange, tutti i giorni dalle 11 alle 23, il sabato fino alle 24.

 

Nivà | Torino | Via Lagrange 26 | tel.011 533271 | www.nivagelato.com

 

a cura di Rosalba Graglia

 

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